The Great Reset: un’analisi delle fonti
Great Reset: un'analisi delle fonti
di S.C., L.B. e G.F.
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1. Introduzione.
Il Great Reset è un tema che sta passando inosservato sui media nazionali ma che invece è materia di dibattito di primaria importanza sui tavoli che contano. Purtroppo in molti hanno cercato di scrivere sul tema dando un taglio, a nostro avviso, a volte troppo complottista e a volte troppo “anticomplottista” a seconda di chi l’ha trattato. Quello che vogliamo cercare di fare qui è costruire una visione, senza fantasticare, partendo solamente da fonti ufficiali.
2. Chi ne sta parlando? le posizioni del WEF e del FMI.
Dal punto di vista delle fonti ufficiali, materiale su questo tema è comparso molto di recente sui siti di importanti organizzazioni internazionali e istituti. In particolare il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e il World Economic Forum (WEF) hanno dedicato ampio spazio al Great Reset. Entrambi hanno un’influenza importante nelle decisioni mondiali e proprio per questo il fatto che questo tema transiti da quelle parti non deve essere trascurato.
Se però l’operato del FMI è più o meno noto a tutti, il Forum di Davos (il WEF appunto) probabilmente non gode della stessa risonanza mediatica. Per chi non lo sapesse il WEF è una fondazione (nata negli anni ’70 per mano di Klaus Schwab) che riunisce ogni anno ai suoi tavoli i massimi esponenti dell’economia internazionale per analizzare e discutere lo stato di salute economico degli Stati. Non stiamo parlando di chissà quale associazione segreta visto che il report di quelle conferenze è scaricabile gratuitamente dal loro sito ed è sempre estremamente ricco di dettagli, quindi tutte informazioni alla luce del sole. Solitamente il report annuale del WEF contiene le indicazioni più importanti per gli investitori riguardo ogni singolo Stato: viene infatti redatta un’analisi economica di tutti i paesi del mondo per evidenziarne i punti di forza e gli assi di miglioramento e, a seguito della scansione, per ogni Stato viene redatta una specie di pagella che poi attribuisce un punteggio chiamato “Competitiveness Index” sul quale gli investitori internazionali traggono le loro conclusioni.
La cosa tanto anomala quanto prevedibile è che nel 2020 il report è stato sostituito dalla più urgente questione Covid (e conseguente impatto che la pandemia ha avuto sulle economie del mondo). Di conseguenza l’agenda dell’incontro è stata modificata e il tema cardine del 2020 è stato per l’appunto il “Great Reset”. Ora, stando a quanto dichiarato dalle fonti ufficiali, quest’ultimo non sarebbe altro che una sorta di piano globale di cui avrebbe bisogno il mondo per riorganizzare la ripresa dalla pandemia e che dovrebbe conferire al mondo stesso una maggiore resilienza di fronte agli shock economici (come appunto la pandemia di Covid-19). Se andiamo a prendere le dichiarazioni del managing director del Fondo Monetario Internazionale [2]:
“Adesso è il momento di pensare a cosa direbbe la storia di questa crisi. […] Gli storici guarderanno indietro e diranno che questo è stato il momento di un grande capovolgimento? Oggi vediamo segnali molto preoccupanti. […] ora è il momento di fare un passo avanti – e usare tutta la forza che abbiamo – per voltare pagina. Nel caso dell’Fondo Monetario Internazionale abbiamo una capacità finanziaria di un trilione di dollari e un enorme impegno dal lato politico. Questo è il momento per decidere che la storia guarderà indietro a questo come ad un Great Reset, non ad una Grande Inversione.”
Messa in questi termini sembrerebbe quasi come se da parte degli istituti sovranazionali vi fosse una lecita preoccupazione sul futuro dell’economia mondiale ed in particolare sul futuro del loro tanto caro approccio globalista che ha dominato la scena negli ultimi 30 anni. Questa pandemia è in effetti una “gigantesca opportunità” per riunire tutti attorno ad un tavolo e reimpostare il Mondo. Il problema però sorge quando attorno al tavolo si siedono sempre gli stessi con le stesse idee. Se da un lato il Covid-19 ha mostrato in più occasioni quanto siano state e quanto siano fallimentari le politiche globaliste e ancor di più gli assunti del neoliberismo, dall’altro sta servendo su un piatto d’argento la possibilità per i soliti noti di trarne ancor più vantaggio.
In realtà infatti, più che di un “riaggiustamento”, si tratta di una vera e propria trasformazione del tessuto economico, una transizione forse troppo veloce verso un futuro in cui l’automazione sarà determinante. E proprio con questi presupposti, al WEF è stata condivisa l’agenda dei prossimi dieci anni e le modalità con cui portare a compimento questo piano.
3. La presunta “agenda” del WEF.
Dall’Ottobre del 2020 è disponibile sul loro sito un documento intitolato “Resetting the Future of Work Agenda – Disruption and Renewal in a Post-Covid World” [3]. Questo documento di 31 pagine illustra un progetto su come mettere in pratica il contenuto di un testo scritto da Klaus Schwab (The Great Reset appunto).
Il testo somiglia ad una specie di esca, lanciata per misurare le reazioni che le idee contenute in esso avrebbero sulla collettività. Un po’ come si fa quando si vuole rendere accettabile un’idea che inizialmente viene percepita come inaccettabile. Le misure ipotizzate per affrontare e superare la crisi dovuta a questa pandemia sarebbero:
1) Corsa all’automazione delle attività umane.
Questo processo, in realtà iniziato già col capitalismo ottocentesco, proseguirà nella stessa direzione ma a differenza di quei tempi la velocità dell’implementazione delle novità tecnologiche è cresciuta esponenzialmente mentre la velocità di riassorbimento degli shock indotti dalla stessa è rimasta identica. Il punto è perciò assai delicato nell’era della terza ondata di investimenti in intelligenza artificiale. Gli istituti di tutto il mondo calcolano che circa la metà delle attività umane saranno automatizzate entro breve tempo e che le AI e le nuove tecnologie porteranno ad una totale rivisitazione del mondo del lavoro, rendendo “obsolete e rimpiazzabilie” le mansioni che non richiedono particolari skill. In particolare il McKinsey Global Institute prevede che solo in Europa più di 80 milioni degli attuali lavoratori (cioè il 40% della forza lavoro europea) potrebbe perdere definitivamente il posto di lavoro [4]. Ovviamente i termini di questa disruption sono molto stretti: si parla di 10 anni nello scenario più lungo. Se vogliamo però, questo sarebbe accaduto al di là della pandemia e con tempistiche simili. Perciò Great Reset o no, la corsa all’automazione spinta è iniziata da anni. Quello che potrebbe invece sembrare differente è l’approccio. Se prima lo si metteva nell’ottica di “ragazzi, attenzione perché la corsa all’automazione creerà queste opportunità e questi problemi, quindi cerchiamo di capire come muoverci per non fare troppi danni” oggi viene messa nell’ottica di “la soluzione è automatizzare per rendere il mondo più resiliente alle crisi, costi quel che costi”.
2) Smart working permanente come modello sociale.
La corsa all’automazione e l’accelerazione dei processi di lavoro digitalizzati porterà a una digitalizzazione di gran parte delle mansioni mansioni oggi svolte di persona, e circa l’83% delle persone potrà lavorare a distanza, eliminando gran parte delle interazioni sociali reali. Le conseguenze dirette dell’implementazione di questa strategia sono fondamentalmente due: la prima è la perdita di contatto umano diretto e quindi la perdita di senso di collettività e senso di appartenenza ad una realtà lavorativa; la seconda è la progressiva dislocazione delle assunzioni in paesi in cui il costo del lavoro è inferiore. Ovviamente questo non impatterebbe determinate professioni ma sicuramente coinvolgerebbe tutta una fetta di attività oggi ritenute automatizzabili. Anche in questo caso è uno scenario che si manifestava concreto già prima del Great Reset, ma in questa nuova ottica non è più quella del fenomeno da comprendere per poterlo controllare ma quella del “qualcosa da accettare passivamente e di cui farsene una ragione”.
3) Digitalizzazione dei processi di formazione.
Nonostante gli psicologi e gli esperti in materia siano più o meno tutti d’accordo sul fatto che l’insegnamento sia una disciplina che non ha come compito principale il mero trasferimento di conoscenza, il documento prevede che un 42% dell’aggiornamento o della formazione delle competenze verrà completamente digitalizzato. Anche qua, nessun contatto umano: si andrà sempre più verso training virtuali, in uno scenario che somiglia di più alla calibrazione di una macchina che alla creazione di una mente pensante ed operante. Anche in termini lavorativi il tutor non va inteso come qualcuno che ficca informazioni nelle teste della gente, visto che qualsiasi persona normodotata è in grado di leggere un libro o una presentazione. Lo scopo dell’insegnante deve essere soprattutto quello di indurre nell’allievo i meccanismi propri del ragionamento e del pensiero critico attraverso la sua esperienza e attraverso l’empatia. Questo non è qualcosa di realizzabile senza contatto umano.
4) Riqualificazione del personale.
Questo aspetto in un’ottica di automazione delle attività umane è assolutamente necessario. Tra l’altro è curioso quanto inquietante pensare che sul documento del McKinsey dal titolo “The future of work in Europe”, proprio in merito a questo tema afferma che “I lavoratori meno istruiti, i giovani e gli uomini hanno maggiori probabilità di rimanere disoccupati a causa dell’automazione” [4]. La questione non riguarderà solamente questo tipo di lavoratori, ma coinvolgerà anche ambiti insospettabili e professioni che attualmente richiedono una laurea di prestigio. Anche in questo caso è un aspetto inevitabile del processo di AI disruption. Si prevede che il processo di riassegnazione temporanea dei lavoratori a compiti diversi toccherà circa il 30% della forza lavoro. Ciò significherà anche la definizione di scale retributive completamente diverse e nuove. I salari, specialmente quelli di ingresso, si ridurranno drasticamente. Anche in questo caso la cosa “impopolare” sarebbe “necessaria” per rendere resiliente il mondo.
5) Ristrutturazioni organizzative (tagli del personale)
Si prevede di “ristrutturare” il 34% degli attuali assetti organizzativi per fare spazio a nuovi insiemi di quadri organizzativi digitali e strutture che garantiscono il massimo controllo su tutte le attività. A tal proposito, Microsoft ha già pensato di introdurre il “Productivity Score” per permettere alle aziende di monitorare costantemente le performance dei propri dipendenti [5]. Al solito si tratta di strumenti estremamente calibrati su determinate professioni ma che sono del tutto fuori luogo per altre, ma sicuramente verranno implementati un po’ dappertutto nelle multinazionali. Secondo il documento i licenziamenti per ottimizzare il personale sarebbero una delle soluzioni per aumentare la resilienza del mondo. I tagli al personale dovrebbero quindi interessare un bella fetta della popolazione (circa un terzo della forza lavoro totale nel mondo). Si tratta di una cifra aggiuntiva alla disoccupazione già esistente, sotto mentite spoglie, infatti nonostante nel documento si parli di situazione “temporanea” e legata alla crisi pandemica, sarà nei fatti permanente a meno di massicci interventi statali. Infatti poi si parla di una riduzione permanente di almeno il 13% della forza lavoro. A valle di questo, ci sarà un parziale e temporaneo riassorbimento della forza lavoro, pari a circa il 5% della popolazione, seguita da una lenta e costante crescita di circa l’1%. Probabilmente si tratterà di manodopera non qualificata.
4. Le conseguenze dirette di tutto questo.
Ci si può interrogare a questo punto su tutta una serie di cose. Molti hanno percorso la strada ideologica della “pandemia intenzionale” ma noi non siamo di questo avviso, almeno finché delle prove schiaccianti non dicano il contrario. La posizione della comunità scientifica è dibattuta tra la questione “spillover” e la questione “fuga da laboratorio”, ma in ogni caso se tutto questo fosse stato pianificato, tutti i grandi attori economici si sarebbero fatti trovare pronti e così non è stato.
E’ vero che la pandemia ha creato un arricchimento di almeno una parte dei superricchi [9], ma ha messo le basi per una distruzione a medio termine non pianificata dei consumi e questo è qualcosa con cui nessuno aveva fatto i conti prima. Di fronte allo shock pandemico i Governi dei vari Stati hanno iniziato ad inondare con fiumi di denaro il settore privato per non farlo morire e questo è stato fatto (seppure in forme diverse e in quantità assai minore) persino da insospettabili come la BCE. Poiché tutto questo andava essenzialmente contro tutti i principi applicati per decenni dagli stessi insospettabili, non avrebbe senso scoprire le carte a fronte di qualcosa di pianificato.
In queste fasi infatti “casualmente” è venuto fuori che iniettare quantità stratosferiche di moneta nel momento del bisogno non causa inflazione e che le Banche Centrali devono fare tutto il necessario affinché il settore privato non entri in una spirale di decrescita irrecuperabile, come per esempio ha dimostrato la dichiarazione di Jerome Powell nell’Agosto 2020 sul nuovo approccio della Fed all’inflazione [17].
Perciò la nostra sensazione è che questa pandemia sia tutt’altro che intenzionale. Tuttavia nessun imprenditore di livello è così sprovveduto da subire passivamente qualsiasi cosa che gli capiti senza reagire. E’ per questo che i suddetti soggetti stanno cercando di trovare il modo di riorganizzare il mondo in modo che un tale imprevisto non accada mai più e soprattutto cercando di puntare in una direzione che sia congeniale ai loro interessi personali. Ovviamente questo non è da intendersi come un complotto di poteri forti. Possiamo parlare in tutta franchezza di una “naturale convergenza di interessi personali”. Ognuno di loro guarda al suo orticello e finché i piani dell’uno non ostacolano quelli dell’altro, resta il solito gioco. Il fatto che poi a fare le spese di tutto questo sia qualcun altro è un collaterale che l’ideologia economica seguita da questi soggetti conosce benissimo e di cui “se ne frega deliberatamente”.
Stiamo dunque parlando di una sorta di Globalizzazione 2.0 che sta arrivando con delle tempistiche differenti rispetto a quanto persino i suoi sostenitori potessero aspettarsi. E’ in questo senso che possiamo intendere la pandemia di Covid-19 come “un’opportunità” per i soliti noti di realizzare una sovrastruttura creata su misura dei loro interessi personali.
Mettendo insieme i pezzi di quanto detto sopra è plausibile pensare che ci sia l’intenzione di sopperire al crollo della domanda e all’ineluttabilità dell’immensa mandria di disoccupati causata dall’AI revolution con un reddito minimo universale (che poi finirebbe inevitabilmente tutto in consumi). In questo modo si andrebbe incontro alla costituzione degli oligopoli tanto agognati nei vari settori e si andrebbe spediti verso un’inevitabile accelerazione del declino della classe media in tutto il mondo, con un sistema almeno teoricamente più robusto nei confronti delle varie crisi. Questo porterebbe verso uno schema in cui sarebbe quasi impossibile creare nuovi concorrenti a quelli già esistenti, costituendo delle vere e proprie barriere di ingresso al mercato e creando oligopoli (in parte già oggi è così ma la situazione andrebbe acuendosi).
Questo scenario porterebbe anche ad un’ulteriore conseguenza sociale importante: lo spegnimento della rabbia e del dissenso, se non completamente almeno in larga parte. E l’idea ancora una volta non è nuova, ma tutto sommato un riciclo di idee hayekiane [6]:
“Occorre fornire agli indigenti e agli affamati qualche forma di aiuto, ma solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi.”
Indirizzare la società verso questo modello porterebbe alla nascita di un mercato oligopolistico in tutti i settori, in cui gli accordi di cartello determinerebbero i prezzi, costituendo degli “Stati negli Stati” come già avvenuto in passato in nazioni pseudo-colonie. Ancora una volta, tutto questo non sarebbe un gigantesco complotto ordito da qualche fantastico gruppo di personaggi misteriosi, ma semplicemente la naturale conseguenza del perseguimento di interessi personali da parte di tutti gli attori coinvolti. L’output dei meeting di Davos non è robetta da niente: nessuno a quei livelli si prende la briga di scomodarsi per andare in Svizzera a parlare del più e del meno. Tutti gli output di Davos sono funzionali a dare informazioni che permettano agli imprenditori di altissimo livello di piazzare al meglio i propri investimenti. E in quella partita, ognuno sta esclusivamente dalla propria parte. Se non fosse per il fatto che ognuno di loro è legato agli altri da un punto di vista azionario, si massacrerebbero a vicenda. Il risultato di questa “convergenza di interessi” appare come una sorta di immenso piano, ma in realtà non c’è altro che un tornaconto del singolo individuo.
5. Perché la pandemia è funzionale alla Globalizzazione 2.0?
Il ruolo della pandemia nel processo di Globalizzazione è abbastanza chiaro se si pensa alla natura stessa della pandemia. Il Covid-19 in termini di numeri è arrivato a contagiare all’inizio del 2021 circa 100 milioni di persone, con 2 milioni di morti. Una mortalità del 2% (sovrastimata in realtà) sulla base della quale i paesi, soprattutto quelli dell’Eurozona, hanno preso misure molto forti, ma quella cifra non giustifica quelle misure restrittive e i lockdown generalizzati.
I paesi dell’Area Euro, impossibilitati a spendere a deficit quanto necessario, sono del tutto inadatti a fronteggiare questo tipo di misure per periodi prolungati. Si pensi ad esempio all’Italia che ha visto una perdita stimata del 15% del PIL. La ragione scientifica dietro le chiusure è assai discutibile visto che in realtà negli anni passati si fronteggiava puntualmente un’emergenza sanitaria da sindromi influenzali e le terapie intensive già all’epoca erano al collasso [13, 14, 15]. Per esempio solamente tra Dicembre 2016 e Gennaio 2017 l’influenza contagiò quasi 2 milioni di persone (che è lo stesso numero di contagiati che ha avuto l’Italia durante i primi 10 mesi di pandemia). Si pensi anche al fatto che, soltanto nel 2019, ogni giorno sono morte in media 1800 persone, di cui circa 700 per problemi legati all’apparato respiratorio. Le terapie intensive in inverno sono sempre state al collasso a causa dei giganteschi tagli alla sanità operati nel corso degli ultimi 50 anni in maniera trasversale da tutti i Governi, quindi la necessità del regime di lockdown si potrebbe quantomeno mettere in discussione visto che nel passato non si sono mai rese necessarie tali misure.
Posto che molti paesi hanno abbracciato principi che li hanno resi impossibilitati a spendere a deficit, sulla base delle ideologie liberiste degli anni ’70-’80, quei paesi si ritrovano oggi quasi “costretti” al lockdown per gli eccessivi tagli alla sanità. Tutto questo ha avuto come conseguenza il collasso di interi comparti industriali a causa della contrazione della domanda. Pensate per esempio alle crisi dei piccoli commercianti, dei ristoratori, ma anche in generale alla crisi industriale che gran parte delle aziende sta vivendo a causa del crollo della domanda e cambiamento dei comportamenti da parte dei consumatori [10, 11, 12].
Sulla scia di questo, le abitudini dei consumatori si sono spostate verso alcune figure che casualmente rivestono oggi un ruolo apicale nel panorama dei businessman mondiali (si pensi ai vari Besoz e soci che hanno visto crescere a dismisura il loro patrimonio netto durante la fase acuta della crisi) [8, 9].
Grazie a questo spostamento di ricchezza dai comparti impattati (dalle tasche del popolo) ai conti corrente di alcuni multimiliardari del pianeta, questi hanno semplicemente continuato a fare quello che stavano già facendo prima: piazzare investimenti qua e là per accaparrarsi le tecnologie di intelligenza artificiale che li renderanno gli “imperatori del business” della prossima era.
Tutti coloro che sono stati messi in ginocchio da questa crisi non stanno ricevendo il sostegno adeguato a seguito di questi cambiamenti e purtroppo per noi non si tratta di una situazione transitoria, per lo meno non qualcosa che si risolverà nel breve periodo. Il concetto che vogliamo far passare è che i nostri politici sono complici di questo disastro e che prima o poi dovranno risponderne. E il disastro, oltre ad aver reso gran parte della popolazione inerme (perché annientata dalla paura), provocherà un progressivo “adeguamento” (leggasi smantellamento) del mondo del lavoro verso i principi descritti nel documento del Great Reset.
Sono tra l’altro discutibili le argomentazioni (per esempio) del FMI che si dice disposto a finanziare fino a 1 trilione di dollari di prestiti [2], quando già gli Stati Uniti da soli in una sola notte hanno emesso 2 trilioni di dollari e tutto il mondo ha fatto spesa pubblica per 10 trilioni di dollari a causa della pandemia.
I punti dell’agenda sembrano fondamentalmente tutti pretesti per creare le basi di nuove “business opportunities” piuttosto che le basi di un mondo più preparato.
Ricapitolando: dal nostro punto di vista nessuno, nemmeno i globalisti, si aspettavano di dover fronteggiare qualcosa che mettesse in crisi i loro paradigmi di fronte all’opinione pubblica e l’obiettivo delle figure che contano è quello di rendere i loro piani più resistenti ai disturbi esterni del sistema per non avere sorprese in futuro. Nel fare questo viene sfruttato tutto il contorno della crisi per indirizzare le scelte di politica nazionale e internazionale nella direzione che gli fa comodo. Questo è il Great Reset, niente di più. Nessun complotto, nessuna farneticazione, nessuna roba mai sentita, semplicemente un’idea per rendere il mondo del business del terzo millennio meno “disturbabile” da agenti esterni che possano mettere un freno al liberismo. Non c’è progressismo in questo, c’è solo l’ennesima dose di globalismo visto in una salsa ancor più camuffata da buon samaritano. Figuratevi se qualcuno a quei livelli ha davvero a cuore la salute o il benessere reale delle persone…
A tal proposito nel discorso del Settembre 2019 di Donald Trump all’ONU, disse che il futuro del mondo non apparteneva ai globalisti [16], ma questo “reset” è l’occasione di questi ultimi per riportare in pista le loro convinzioni antiprogressiste.
BIBLIOGRAFIA E FONTI
[1] World Economic Forum (2020), Now is the time for a ‘great reset’
[2] Kristalina Georgieva (2020), The Great Reset, Remarks to World Economic Forum
[3] World Economic Forum (2020), Resetting the Future of Work Agenda – Disruption and Renewal in a Post-Covid World
[4] Sven Smit, Tilman Tacke, Susan Lund, James Manyika & Lea Thiel (2020), The future of work in Europe, McKinsey Global Institute
[5] Rachel Sandler (2020), Microsoft’s New ‘Productivity Score’ Lets Your Boss Monitor How Often You Use Email And Attend Video Meetings, Forbes
[6] Friedrich Von Hayek (1944), La via della schiavitù
[7] Francesco Boezi (2020), Il Papa choc sulla proprietà privata: “Non è intoccabile”, Il Giornale
[8] Jack Kelly (2020), The Rich Are Getting Richer During The Pandemic, Forbes
[9] The Economist (2020), Some rich people are getting even richer during the pandemic
[10] International Labour Organization (2020), Impact of the COVID-19 crisis on loss of jobs and hours among domestic workers
[11] Gad Levanon (2020), Which Manufacturers Will Suffer Most From Covid-19?, Forb
[12] Blake Morgan (2020), 50 Statistics Showing The Lasting Impact Of COVID-19 On Consumers, Forbes
[13] Caterina Rizzo & Antonino Bella (2017), Influenza: un primo bilancio per la stagione 2016-2017, Istituto Superiore di Sanità
[14] Istituto Superiore di Sanità (2020), Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia
[15] Simona Ravizza (2018), Milano, terapie intensive al collasso per l’influenza: già 48 malati gravi molte operazioni rinviate
[16] Donald Trump speech to UN (see here)
[17] Jeff Cox (2020), Powell announces new Fed approach to inflation that could keep rates lower for longer, CNBC

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