Il sottile confine tra scienza e dottrina

La sottile linea tra scienza e dottrina

di G.F.

Foto in evidenza caricata da Vlad Tchompalov su Unsplash.com, disponibile a questo link. Foto rilasciata con licenza CC0.

Quante volte avete sentito dire frasi del tipo “la scienza non è democratica” oppure “lo dice la scienza“? Quante volte avete fatto inconsciamente l’associazione scienza=garanzia di certezza?

Suppongo tantissime volte, anche perchè assai difficilmente vengono mostrati esempi contrari. Ma quanto c’è di positivo e quanto c’è di negativo in tutto questo? E soprattutto siamo così sicuri del fatto che la scienza sia esattamente quello che immaginiamo? In questo post non voglio assolutamente mettere in discussione la scienza in sè (io sono un ingegnere e un appassionato di scienza, per cui ci mancherebbe altro); tuttavia voglio mostrare alcuni aspetti del mondo moderno su cui, se si vuole sostenere il vero progresso, bisogna quantomeno riflettere.


1.   Il problema del metodo: esiste un criterio per accettare un risultato come verità assoluta?

Noi purtroppo siamo abituati a pensare alla scienza allo stesso modo di come siamo abituati a pensare alla matematica, ovvero qualcosa che non è altro che la messa per iscritto della logica e che quindi non può essere contraddetta, qualcosa di insindacabile. A parte il fatto che persino la matematica poggia su ipotesi di base e assiomi che se vengono meno fanno crollare il castello di carte, ma in generale la scienza non è matematica. O meglio, la matematica è una delle scienze, ma tra le scienze ci sono filoni assai più “empirici”, come ad esempio la fisica, l’ingegneria, la chimica, la biologia, la medicina etc… se avete notato ho fatto questo breve elenco andando via via sempre più verso scienze che poggiano su fondamenti empirici. Fondamento empirico significa che, posto che nessuno sa il motivo per cui alcune cose realmente avvengono, si crea un modello matematico che da come risultato quello atteso e ci si buttano in mezzo delle costanti che sono appunto empiriche, ovvero vengono dal’esperienza immediata della pratica. Faremo esempi più avanti, ma è importante mettere certe cose in chiaro da subito. Come procede in generale la ricerca in tutto questo? La gran parte della scienza si basa sul dualismo di metodi, il metodo induttivo e quello deduttivo: 

– Il primo parte dall’osservazione di un fenomeno che individua un problema, da li formula ipotesi e tenta di verificarle in modo sperimentale. Solo se l’esperimento verifica l’ipotesi allora si inizia a descrivere una teoria. Questo metodo fu largamente sostenuto dalla corrente positivista dell’ottocento e in particolare affonda le sue radici in Francis Bacon e in parte in Galileo Galilei.

– Il secondo metodo invece, delineatosi a partire da due filosofi (Immanuel Kant  prima e Karl Popper dopo), prevede prima una formulazione dell’ipotesi, poi l’esprimere una teoria che possa prevedere un risultato e osservare se in quelle condizioni si verifica il risultato teorizzato. Se ciò accade la teoria è solo provvisoriamente accettabile, poichè non è confermata ma non è neanche stata smentita. Questo rende possibile mettere sempre in discussione qualsiasi teoria.

Questi due approcci sono diametralmente opposti e c’è stata sempre lunga diatriba ideologica dietro. Interessante ad esempio la divertente e azzeccatissima metafora del tacchino induttivista, originariamente formulata da Bertrand Russell (originariamente era un pollo ma il senso non cambia):

“Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: ‘Mi danno il cibo alle 9 del mattino’. Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato”.

Ecco che si capisce che persino nella scienza c’è diatriba su cosa accettare come “verità assoluta”.

2.   La propaganda e la divulgazione scientifica faziosa.
Quindi effettivamente tutto è relativo e benchè la realtà sia unica e oggettiva, l’interpretazione della stessa da parte nostra non può che essere assolutamente soggettiva. Anche perchè in qualsiasi teoria basta cambiare le ipotesi di base o le condizioni al contorno e la sua validità può anche essere nulla. E di esempi nella storia ce ne sono a migliaia. Basti pensare al geocentrismo di Tolomeo, all’etere luminifero, all’universo stazionario oppure, per come la vedo io, la teoria sulla materia oscura.
D’altronde i veri scienziati non si sbilanciano mai dando per assodato che i loro risultati siano verità assoluta, nè tantomeno le ipotesi di base da cui partono, proprio perchè è la storia a smontare questo approccio. 
Dove sorge allora il problema? il problema sorge quando qualcuno sconfina dove non deve, ovvero quando i risultati scientifici vengono utilizzati dai propagandisti o da divulgatori scientifici faziosi per i loro scopi. Se andate a scavare a fondo scoprirete che gli ideatori delle teorie hanno sempre sostenuto le stesse con frasi del tipo: “noi crediamo che“, “le osservazioni fatte ci inducono a pensare che“, “sembra che ci sia la possibilità che” etc…
Cosa ben diversa invece fanno alcuni divulgatori o peggio ancora i giornalisti quando per le stesse teorie dicono: “La scienza dice che“, “E’ stato scoperto che“, e appunto, “lo dice la scienza“. E’ ben diverso come potete notare perchè nel primo caso si parla cautamente di possibilità, nel secondo di dogma e verità assoluta. Il problema quindi nasce dal fatto che chi si appassiona alla scienza si appassiona ad essa tipicamente a causa dei suoi dogmatismi (che ovviamente non sono propri della scienza stessa ma sono indotti dalle condizioni al contorno appena descritte). I dogmatismi danno sicurezza perchè sono certezze. Il problema è che i dogmi possono essere falsi e quando una persona fonda la sua intera carriera su un dogma non è uno scienziato ma un dotto. E i dotti sono pericolosi perchè non ragionano più con la mente aperta ma sono, appunto, indottrinati. Cessano quindi di essere scienziati per essere a loro volta degli strumenti di propaganda.
La realtà dei fatti è che la scienza non fornisce mai verità assolute, bensì fornisce dei risultati a fronte dei quali trae delle conclusioni. E sia i risultati che le conclusioni possono essere affetti da errore. La scienza progredisce proprio quando, a fronte di un errore in uno dei due, qualcuno si da da fare e trova un risultato contrario, generando contrasto e inducendo il mainstream a dover cambiare versione. E cambiare idea difronte ad un errore è virtuoso, ed è quello che fa la scienza tutti i giorni: la scienza non è dogma. Chiunque si sia avvicinato alla scienza allo stesso modo in cui una persona si avvicina alla fede farebbe bene a considerare l’idea di cambiare approccio poiché la scienza, come mostrato nel precedente paragrafo non è d’accordo nemmeno sul metodo. Anzi, come sosteneva il fisico Percy Williams Bridgman, non esiste un solo metodo scientifico ma ogni scienziato di fatto ha il suo.

3.   Il problema della ricerca: i finanziamenti.

Sono certo del fatto che tutti noi abbiamo sentito la frase “mancano i fondi per la ricerca scientifica“. Spesso tra l’altro questa frase viene utilizzata in ambiti propagandistici. La scienza, come tutte le cose, ha bisogno di fondi perchè per effettuare gli esperimenti servono attrezzature e materie prime, senza contare che bisogna pagare il tempo di tutto lo staff tecnico. Ma qui arriva la domanda che molti (soprattutto i fanatici della scienza) non capiscono: da dove arrivano i fondi?
Noi purtroppo nella nostra ignoranza pensiamo sempre che gli Stati mettano i soldi per la ricerca scientifica e innocentemente pensiamo sempre che poi i risultati di quella ricerca siano funzionali al progresso di tutti. Ecco questi pensieri sono talmente infantili che non meriterebbero neppure un commento, si commentano da soli. Si immagini ad esempio un paese dell’Eurozona in cui le folli regole dei trattati impongono restrizioni di bilancio. Si pensi al fatto che un laboratorio di ricerca costa mediamente tra i 70.000 e i 100.000€ all’anno solo di materie di consumo [1], senza contare poi gli stipendi dei lavoratori e gli eventuali investimenti in macchinari. Soprattutto questi ultimi hanno costi che superano di gran lunga le centinaia di migliaia di €. Se si pensa quindi ad uno stipendio medio per un ricercatore, ovvero circa 30.000€, e supponendo che in un laboratorio ci siano almeno 5/6 persone stiamo allora parlando di circa 200.000€ all’anno solo di denaro che finisce al personale. In definitiva se si escludono eventuali investimenti in macchinari, un laboratorio di piccola taglia costa circa 300.000€ l’anno, a cui vanno aggiunti gli investimenti in attrezzature (che hanno un peso che va dalle centinaia di migliaia di € a qualche milione) più le spese di manutenzione annuali delle attrezzature stesse (anche qua parliamo di decine o di centinaia di migliaia di €). Cioè ogni milione di euro investito in ricerca tiene in piedi 2-3 piccoli laboratori al massimo. Quindi quando un governo nell’eurozona decide di destinare 1 miliardo di € in ricerca sta praticamente finanziando pochissime migliaia di laboratori di piccole dimensioni per un anno. Nella realtà sono molti meno, sia perché un laboratorio con 5 persone è una realtà microscopica, sia perché spesso si fanno investimenti in macchinari. Ecco quindi che possiamo a spanne dire che un miliardo di € tiene in piedi circa 1.000 laboratori all’anno.

Ma quanto investe il governo italiano in tutto questo? Dati 2017, In Italia si spendono circa 21 miliardi di euro l’anno, di cui circa 13 miliardi sono finanziati da aziende private [2]. Ed è proprio questo il punto. Se avete già compreso il modello economico, avrete sicuramente metabolizzato il fatto che privato significa ricerca di profitto. E come si può fare profitto dalla ricerca? semplice: si immagini che un finanziatore privato stanzi 1 miliardo di € per la ricerca su una malattia qualsiasi. Se quel laboratorio tira fuori un risultato valido, secondo voi, da dove viene il profitto? Se quel laboratorio trova una possibile cura contro quella malattia, chi è che paga quel risultato? Beh non è difficile da capire dai…

Ma soprattutto quant’è il profitto in questione? oggettivamente chi sarebbe così idiota da rischiare un miliardo di euro tenendolo fermo lì per qualche anno per poi ottenere un 10% di profitto? nessuno. Chiunque investa una cifra del genere chiede almeno 5 volte la somma investita, altrimenti non si scomoda neanche. E questo significa che, a differenza di un risultato ottenuto con fondi pubblici, un risultato proveniente da un fondo privato sicuramente avrà dei costi maggiori agli utenti finali. Questo è vero perché i costi sostenuti per la ricerca sono gli stessi sia per un finanziamento pubblico che per un finanziamento privato. Tuttavia potendo uno Stato finanziare un servizio a deficit senza limiti, non ha bisogno di rientrare nelle logiche di profitto e quindi il prezzo per l’utente finale è sicuramente diverso. Senza contare poi il discorso dei brevetti (altro limite stratosferico al progresso umano, di cui parleremo in un altro articolo) che costano anch’essi cifre astronomiche, soprattutto agli Stati che poi devono erogare servizi ai cittadini.

Quando di mezzo ci sono degli interessi privati la scienza non può che risultare faziosa. Quando un risultato scientifico può mettere in ginocchio un sistema da cui dipendono centinaia o migliaia di persone, il risultato scientifico può essere tranquillamente veicolato dagli stessi finanziatori oppure questi possono essere in conflitto di interessi, come avvenne ad esempio nello scandalo della Monsanto.
Vi invitiamo tra l’altro ad approfondire questa tematica sul libro “La mediocrazia” di Alain Denault, di cui tratteremo in articoli successivi.

3.   Il problema della ricerca: i finanziamenti.

Sono certo del fatto che tutti noi abbiamo sentito la frase “mancano i fondi per la ricerca scientifica“. Spesso tra l’altro questa frase viene utilizzata in ambiti propagandistici. La scienza, come tutte le cose, ha bisogno di fondi perchè per effettuare gli esperimenti servono attrezzature e materie prime, senza contare che bisogna pagare il tempo di tutto lo staff tecnico. Ma qui arriva la domanda che molti (soprattutto i fanatici della scienza) non capiscono: da dove arrivano i fondi?
Noi purtroppo nella nostra ignoranza pensiamo sempre che gli Stati mettano i soldi per la ricerca scientifica e innocentemente pensiamo sempre che poi i risultati di quella ricerca siano funzionali al progresso di tutti. Ecco questi pensieri sono talmente infantili che non meriterebbero neppure un commento, si commentano da soli. Si immagini ad esempio un paese dell’Eurozona in cui le folli regole dei trattati impongono restrizioni di bilancio. Si pensi al fatto che un laboratorio di ricerca costa mediamente tra i 70.000 e i 100.000€ all’anno solo di materie di consumo [1], senza contare poi gli stipendi dei lavoratori e gli eventuali investimenti in macchinari. Soprattutto questi ultimi hanno costi che superano di gran lunga le centinaia di migliaia di euro. Se si pensa quindi ad uno stipendio medio di un ricercatore in Italia, ovvero 30.000€ annui (che sono la metà che finisce lorda allo scienziato), e supponendo che in un laboratorio ci siano almeno 5/6 persone, stiamo parlando di circa 200.000€ solo di denaro che finisce al personale. Considerando che le macchine possono arrivare a costare anche qualche milione di € come costo di acquisto e anche migliaia di € di manutenzione annua, i costi possono tranquillamente superare i 500.000€ l’anno. Cioè ogni milione di euro investito in ricerca tiene in piedi due piccoli laboratori. Quindi quando un governo nell’eurozona decide di destinare 1 miliardo di € in ricerca sta praticamente finanziando 2.000 laboratori di piccole dimensioni per un anno. Nella realtà sono molti meno, sia perché un laboratorio con 5 persone è una realtà microscopica, sia perché spesso si fanno investimenti in macchinari. Ecco quindi che possiamo a spanne dire che un miliardo di € tiene in piedi circa 2000 laboratori all’anno. Ma quanto investe il governo italiano in tutto questo? Dati 2017, In Italia si spendono circa 21 miliardi di euro l’anno, di cui circa 13 miliardi sono finanziati da aziende private [2]. Ed è proprio questo il punto. 
Se avete già compreso il modello economico, avrete sicuramente metabolizzato il fatto che privato significa ricerca di profitto. E come si può fare profitto dalla ricerca? semplice: si immagini che un finanziatore privato stanzi 1 miliardo di € per la ricerca su una malattia qualsiasi. Se quel laboratorio tira fuori un risultato valido, secondo voi, da dove viene il profitto? Se quel laboratorio trova una possibile cura contro quella malattia, chi è che paga quel risultato? Beh non è difficile da capire dai…

Ma soprattutto quant’è il profitto in questione? oggettivamente chi sarebbe così idiota da rischiare un miliardo di euro tenendolo fermo lì per qualche anno per poi ottenere un 10% di profitto? nessuno. Chiunque investa una cifra del genere chiede almeno 5 volte la somma investita, altrimenti non si scomoda neanche. E questo significa che, a differenza di un risultato ottenuto con fondi pubblici, un risultato proveniente da un fondo privato sicuramente avrà dei costi maggiori agli utenti finali. Questo è vero perchè i costi sostenuti per la ricerca sono gli stessi sia per un finanziamento pubblico che per un finanziamento privato. Tuttavia potendo uno Stato finanziare un servizio a deficit senza limiti, non ha bisogno di rientrare nelle logiche di profitto e quindi il prezzo per l’utente finale è sicuramente diverso. Senza contare poi il discorso dei brevetti (altro limite stratosferico al progresso umano, di cui parleremo in un altro articolo) che costano anch’essi cifre astronomiche, soprattutto agli Stati che poi devono erogare servizi ai cittadini. Quando di mezzo ci sono degli interessi privati la scienza non può che risultare faziosa. Quando un risultato scientifico può mettere in ginocchio un sistema da cui dipendono centinaia o migliaia di persone, il risultato scientifico può essere tranquillamente veicolato dagli stessi finanziatori oppure questi possono essere in conflitto di interessi, come avvenne ad esempio nello scandalo della Monsanto.
Vi invitiamo tra l’altro ad approfondire questa tematica sul libro “La mediocrazia” di Alain Denault, di cui tratteremo in articoli successivi.

4.   I risultati condizionati e la Peer Review.

Per tornare alla frase iniziale “la scienza non è democratica” con cui i fanatici della scienza si riempiono la bocca, bisogna ricordare a questi signori che nessuno scienziato ha mai firmato un giuramento sul fatto che perseguirà sempre come obiettivo il progresso umano e il benessere dell’umanità come scopo ultimo del suo lavoro. Benchè questo dovrebbe essere l’unico scopo della scienza, come avrete capito da questo articolo, non è esattamete così.

I risultati possono essere condizionati e ciò che si vuole dimostrare potrebbe contenere omissioni, manomissioni volontarie e quant’altro. Un esempio su tutti è Robert Millikan, il fisico che misurò la massa dell’elettrone. Si narra infatti che fosse solito scartare i risultati che non gli andavano a genio per i suoi scopi [3]. Ma già se lo scopo fosse la gloria personale (per esempio vincere il Nobel) questo sarebbe poca cosa, nonostante sia grave. Il problema vero sorge quando queste manomissioni riguardano gli interessi privati di lobby e gruppi di potere. La comunità scientifica si difende innocentemente col discorso della peer review (ovvero che ogni articolo viene prima sottoposto a validazione da parte di più scienziati in modo da filtrare quelli che potrebbero essere potenziali errori, fake e quant’altro). Tuttavia si dimenticano che dietro la peer review ci sono delle persone, che sono sicuramente corruttibili, che sono soggetti privati e che possono essere persino ricattabili. Ci sono stati molti casi di peer review in conflitto di interessi palese [4]. Inoltre altra incongruenza dei dotti è che finchè fa comodo a loro la peer review è uno strumento di difesa, quando però alcuni articoli scomodi passano la peer review, la comunità scientifica liquida lo scienziato autore dell’articolo con frasi del tipo “eh ma prima era un ottimo scienziato, poi è impazzito” (e ve lo giuro questa l’ho sentita io direttamente), oppure giustificando il risultato inappropriato con il fatto che gli indicatori che si sono creati loro sono bassi (per esempio il numero di citazioni dello stesso articolo in un anno, che come avrete intuito non ha la benché minima importanza nella pratica reale). Oppure addirittura il fatto che “a volte capita di commettere errori”. Finchè esisteranno settori in cui vi sono profitto, competizione e prestigio di mezzo, la comunità scientifica non potrà che esserne intaccata e di conseguenza anche i risultati che finiscono per formare la scienza. Questo non è un articolo contro la scienza, di cui essendo un ingegnere sono un accanito sostenitore. Questo è uno spunto di riflessione per menti critiche: non bisogna mai dare per vero nulla al 100%. La scienza è un’arma potentissima, il problema è che resta pur sempre un’arma, quindi nelle mani sbagliate può non essere progressista.

BIBLIOGRAFIA E FONTI

[1]   Carlo Vigliani, (2017), Quanto costa un laboratorio di ricerca? 

[2]   Alb.Ma, (2017) Spesa in R&D, l’Italia spende un quarto della Germania, ilsole24ore 

[3]   Elena Dusi, (2012) Quando sbagliano i ricercatori:
le storie della scienza inesatta, Repubblica

[4]  Carey Gillam & Nathan Donley, (2018), A story behind the Monsanto cancer trial — journal sits on retraction 

Il contenuto di questo articolo è rilasciato sotto licenza Creative Commons CC BY-ND 4.0. Per maggiori informazioni consultare le tipologie di licenza Creative Commons.

Per approvazione dell’autore per la creazione di opere derivate, contattare l’autore nell’apposita sezione.