La natura della moneta

La natura della moneta

di G.F.

Foto in evidenza caricata da Christian Dubovan su Unsplash.com, disponibile a questo link. Foto rilasciata con licenza CC0.

1.   Che cos’è la moneta? [1, 2, 3]

Questo articolo è una piccolissima sintesi di un argomento estremamente complesso, che spero di trattare il prima possibile in un libro dedicato. Cercherò comunque di sintetizzare il più possibile ma allo stesso tempo di mantenere il focus sugli elementi principali.

Prima di capire come funziona l’economia bisogna capire come funziona il denaro. Il concetto di moneta e il suo funzionamento sono le ipotesi di base su cui si costruisce tutta l’economia e tutte le teorie economiche, se private delle loro ipotesi iniziali vengono meno. Tra le ipotesi iniziali di ogni teoria economica c’è la visione della moneta.

Il fatto che già le varie scuole economiche non abbiano la stessa idea sulla moneta e sul suo funzionamento rende già subito chiaro che c’è qualcosa che non quadra. Infatti per tutti quelli che sono sempre stati abituati ad un approccio matematico e strutturato alle cose, scoprire che non tutto può essere approcciato in questo modo può sembrare una questione di pressappochismo da parte dei professionisti del settore. La realtà però è ben diversa: mentre in matematica 2+2 fa 4 (almeno nel tipo di matematica comunemente utilizzata) in economia e in moltissime altre scienze non solo 2+2 non fa sempre 4, ma addirittura potrebbe non avere nemmeno senso come operazione, oppure potrebbero non esserci sufficienti dati per dare una risposta.

Il fatto che 2+2 in economia non faccia sempre 4 dipende dal fatto che l’economia è una dottrina fortemente improntata sulla filosofia, non sulla matematica. E’ l’ideologia sottostante certe idee a generare il modello matematico che si usa in economia ed è questo il motivo per cui esistono molte scuole diverse e opinioni discordanti. Per approfondire questa tematica vi invito a leggere accuratamente il libro sulla storia dell’economia che sto per pubblicare qui.

Allo stesso modo il fatto che porsi la domanda di quanto fa 2+2 possa non avere senso dipende dall’ideologia di fondo. Ci sono intere dottrine che rimuovono dai loro modelli delle ipotesi di base che sono invece tesi cardine per altre. Quindi non c’è un’oggettività della risposta, a meno di non analizzare le fonti storiche. So che per una persona dalla mente scientifica questo può sembrare strano, ma anche alcuni ambiti della scienza ragionano così quindi questo non deve stupire.

Infine il fatto che non vi siano abbastanza dati per poter dare una risposta è figlio del fatto che l’economia dipende fortemente dalle prove storiche che si dispongono. Non esistono equazioni esatte in macroeconomia e i modelli sono sempre e comunque delle semplificazioni della realtà che spiegano a grandi linee come funziona il mondo ma non possono predire alla perfezione ogni singola cosa.

Fatta questa doverosa premessa, bisogna partire dalle poche cose oggettive di cui abbiamo a disposizione, ovvero le prove storiche. Il punto è che noi siamo schiavi di una visione della moneta intrisa di concetti medievali, da tempo dimostratisi falsi, ma che continuiamo a credere veri e di seguito ve li smonterò tutti uno per uno.

Alla base di ogni scuola di pensiero economica, prima di ogni cosa c’è una teoria monetaria e ogni teoria monetaria deve porsi il problema di comprendere per quale motivo noi dovremmo utilizzare qualcosa di intermedio per scambiarci dei beni, per quale motivo questo qualcosa venga accettato da tutti e soprattutto se questo qualcosa abbia come scopo quello di fare da tramite nello scambio dei beni (e quindi abbia una natura prettamente commerciale) o se in realtà la sua funzione commerciale sia soltanto un collaterale di qualcosa di più importante. Sono tutti quesiti che vanno ben al di là della semplice economia, infatti scomodano la storia, la sociologia, l’archeologia e per certi versi pure la filosofia.

Quello che tenterò di spiegare di seguito (sebbene la trattazione che faccio qui sia assolutamente minima rispetto a quella che sto facendo nel mio libro) è la dimostrazione che:
– Non è mai esistita una presunta era del baratto
– Il fine della moneta non è di natura commerciale
– Il valore della moneta non è mai dipeso dal contenuto del suo supporto fisico
– La moneta si comporta come una cambiale
– L’inflazione non dipende propriamente dalla quantità di moneta in circolo 

Sembrano tutte affermazioni forti ma è la storia ad avvalorare queste tesi e a smentire il contrario. Innanzitutto andiamo al nodo cruciale: che cos’è la moneta? La moneta è un’unità di conto astratta che quantifica una relazione di credito/debito tra soggetti. La testimonianza di questo risale addirittura alle civiltà mesopotamiche, infatti all’epoca le monete fisiche non esistevano, ma già esistevano i concetti di “credito”, “debito”, “tassa”, “contratto”, “scambio commerciale” e persino “interesse”. In poche parole c’era tutto quello che c’è anche oggi, ad eccezione di una cosa: il contante moderno.

In realtà non è esattamente vero che non esistesse il contante in generale, solo che aveva un aspetto enormemente diverso da quello attuale. Oggi siamo abituati a pensare al contante come monete metalliche tutte perfettamente uguali e banconote dotate di artifici anti-contraffazione, anch’esse tutte uguali. Siamo anche purtroppo abituati a pensare che una banconota degradata sia meno accettabile di una banconota nuova di zecca, in una sorta di inconsapevole accettazione della legge di Gresham che è anch’essa un retaggio medievale da eliminare il prima possibile. La realtà è che noi pensiamo queste cose soltanto perché siamo ignoranti in materia. Basta infatti approfondire per comprendere subito che il contante moderno a cui siamo abituati non è che una manifestazione fisica delle tante che il denaro può assumere. Basti pensare al fatto che le prime monete ritrovate risalgono circa al 600 a.C. e considerando che la civiltà umana è nata ben prima del 600 a.C. evidentemente deve essere esistito qualcos’altro. 

Le prime monete dell’Asia Minore (quelle in elettro) erano tutte irregolari in termini di peso, finezza, forma e materiali, anche quando teoricamente avrebbero dovuto avere lo stesso valore [2]. E’ come se oggi avessimo milioni di monete da 2€ tutte diverse, aventi pesi differenti, composizione chimica differente e con forme tutte diverse, ma tutte accettate col medesimo valore di 2€. Basterebbe già soltanto questo a demolire l’idea che il valore della moneta dipenda dal suo contenuto metallico, ma andiamo avanti.

Ma prima di tutto questo cosa c’era? Con cosa abbiamo commerciato e gestito la società se non c’era la moneta? Bisogna dire che fino alla fine del diciannovesimo secolo gli economisti stessi si erano fatti un’idea della moneta tutta sbagliata, frutto talvolta della faziosità ideologica e talvolta del non avere a disposizione sufficienti elementi, che per l’appunto la vedeva come uno strumento inventato per superare i limiti del baratto. Quegli economisti (i vari Smith, RicardoMenger, Von Mises, Marshall etc…) pensavano che la moneta fosse una merce intermedia che per via delle qualità innate dei metalli che la costituivano gli avesse progressivamente consentito di ritagliarsi questo ruolo di “bene rifugio” e che sarebbe accettata su larga scala per “convenzione“, nel senso di “comune accordo” spontaneamente all’interno del settore privato. Questa teoria viene detta “metallista[1].

Tra l’altro è curioso notare come nessuno di quegli economisti porti prove storiche fondate a sostegno di quelle ipotesi, tutto nasceva da deduzioni personali [7, 18] costruite su informazioni sbagliate (il fatto che siano state volutamente sbagliate o meno è un altro discorso e non me ne occupo qui). Il problema è che non essendosi mai soffermati a dovere sull’argomento hanno dato per scontata quella visione, la quale conduce poi a conclusioni di carattere macroeconomico importanti (come ad esempio la natura del debito pubblico, il meccanismo dell’inflazione, la gestione della disoccupazione etc…). E’ per questo che una volta capito come funziona il denaro si capisce chi spara cazzate e chi invece sa quello che dice.


2.   Le scoperte archeologiche che confermano il cartalismo [2, 16, 17]

Cominciamo ad entrare nel vivo della questione. Nel 1913 Alfred Mitchell-Innes scrive “What is Money[2], uno degli migliori articoli sulla moneta che siano stati scritti nello scorso secolo. Lì Innes analizza le prove storiche provenienti dalla Mesopotamia, dall’antica Grecia, dall’antica Roma e dall’era medioevale, facendo un violento attacco al metallismo. Nella fattispecie Innes sostiene (e per la prima volta dimostra) che:

– Non è mai esistito uno standard metallico del valore
– La moneta fisica è molto più giovane della moneta reale, cioè del credito
– Nell’era presunta del “baratto” in realtà non si barattava ma si utilizzavano strumenti di credito del tutto analoghi alla moneta
– Le monete metalliche hanno rappresentato un’esigua parte del commercio, in tutte le nazioni e hanno svolto il ruolo di complemento a quegli strumenti di cui sopra.
– La moneta governativa viene imposta attraverso la tassazione e proprio per questo è accettata su larga scala

Ovviamente i metallisti non accettarono affatto la sua visione, troppo chiusi mentalmente per poter accettare il fatto di aver creduto sempre a delle falsità sulla moneta. Innes rispose poi con un altro articolo [3] che illustrava i primi schemi di funzionamento di una nuova teoria sul denaro, assai più consistente di quella metallista, in grado di rispondere a tutte le domande in merito. Sui lavori di Innes poi si mosse Georg Friedrich Knapp, che nel suo State Theory of Money [4] costruisce le basi di quella che poi verrà chiamata teoria “cartalista“. Knapp dice che la moneta nasce in seno al settore pubblico, non dal settore privato e soprattutto sostiene che l’accettabilità su larga scala non dipende dal fatto che “i metalli erano una merce più commerciabile di altre” come sosteneva Menger, ma dal fatto che essendo uno strumento per contabilizzare i debiti (tra cui quelli fiscali), una volta che lo Stato decide che accetterà quella valuta in pagamento delle tasse (cioè in adempimento dei propri debiti fiscali) si crea in automatico una domanda su larga scala.

Dunque secondo l’approccio cartalista la moneta non è il supporto fisico, non è il gettone metallico ma bensì un’unità di conto astratta gestita dal settore governativo che viene imposta attraverso la tassazione (si dice appunto che è tax-driven [1]) e che è completamente disgiunta dal suo supporto fisico, eliminando il concetto di moneta-merce una volta per tutte.

Innes spiega innanzitutto che la teoria dello standard del valore è fondata sul nulla più totale perché le monete hanno avuto per buona parte della storia umana delle caratteristiche disomogenee anche tra gettoni teoricamente rappresentanti lo stesso valore. Si notano infatti pesi, qualità del metallo, composizione delle leghe e forma estremamente irregolari e spesso diametralmente opposte tra due pezzi che in teoria avrebbero dovuto essere uguali. Inoltre ne circolavano pochissime se comparate all’estensione del commercio dell’epoca e su nessuna di essa veniva riportata alcuna indicazione numerica del proprio valore. Infatti se si guardano le prime monete esistenti si può notare tutto questo (clicca sul bottone qui sotto)

Riguardo alle scoperte archeologiche Innes scrive che [2]:

“Tra le recenti scoperte nell’antica Babilonia, i documenti commerciali più comuni che sono stati trovati sono quelli che sono chiamati ‘contract tablets’ o ‘tavolette di shubati’ […] Queste tavolette, le più vecchie delle quali erano in uso da 2000 a 3000 anni a.C., sono di argilla cotta o essiccata al sole. […] Dalla frequenza con cui queste tavolette sono state soddisfatte, dalla durabilità del materiale di cui sono composte, dalla cura con cui sono state conservate nei templi che sono noti per essere serviti come banche, e più in particolare dalla natura di le iscrizioni, si può ritenere che corrispondano al conteggio medievale e alla moderna cambiale; vale a dire che si tratta di semplici riconoscimenti dell’indebitamento dato al venditore dall’acquirente in pagamento di un acquisto e che erano lo strumento comune del commercio.”

Innes inoltre ricorda che il principale strumento utilizzato per il commercio non è stata la moneta, ma il tally stick. I tally stick hanno svolto il ruolo di supporto fisico dell’unità di conto utilizzata per secoli e il commercio è stato portato avanti principalmente per mezzo di essi. Le monete, emesse in quantità striminzite dai re o dai signorotti feudali, rappresentavano solamente una microscopica quantità degli strumenti utilizzati per il commercio. Il funzionamento del tally stick era piuttosto semplice [2]:

“Per molti secoli, quanti non lo sappiamo, il principale strumento di commercio non era né la moneta né il gettone privato, ma il Tally […] un bastone di legno di nocciola squadrata, dentellato in un certo modo per indicare l’ammontare dell’acquisto o del debito. Il nome del debitore e la data della transazione venivano scritti su due lati opposti del bastone, che veniva poi diviso a metà in modo tale che le tacche venissero tagliate a metà, e il nome e la data apparivano su entrambi i pezzi del tally. La spaccatura era fermata da una croce tagliata di circa un pollice dalla base del bastone, in modo che uno dei pezzi fosse più corto dell’altro. Un pezzo, chiamato stock (“magazzino”), veniva emesso al venditore o al creditore, mentre l’altro, denominato stub (o ‘controparte’), veniva conservato dall’acquirente o dal debitore. Entrambe le parti erano quindi una registrazione completa del credito e del debito e il debitore era protetto dall’imitazione fraudolenta o dalla manomissione dal suo moncone (lo stub).

Le fatiche degli archeologi moderni hanno portato alla luce grandi quantità di oggetti estremamente antichi, che si può affermare con sicurezza essere antichi tally o strumenti di una natura esattamente simile; così che non possiamo dubitare che il commercio dai tempi più primitivi sia stato portato avanti per mezzo del credito, e non con alcun mezzo di scambio”.

Questi strumenti commerciali sono state le principali forme di moneta per gran parte della storia umana. Alcune di queste monete sono utilizzate ancora oggi tra l’altro. In altre parole gli shubati, i tally sticks ed altri tipi di oggetti sono una prova che il supporto fisico non ha nessuna importanza: ciò che conta è la relazione di credito/debito tra le parti che quel supporto fisico rappresenta. E questi strumenti sono stati usati praticamente dagli albori della storia (anche prima in realtà) fino a qualche secolo fa. Siccome supporti fisici alternativi al contante (e a volte anche bizzarri) come bastoncini di sale, mattoncini di thé, tavoletti di shubati, tally stick, monete coltello, rai stones, notgeld ed altri sono stati sempre utilizzati nel commercio andandone a costituire la gran parte di esso, è evidente che la presunta era in cui in tutto il mondo si barattavano X pecore per Y galline non è mai esistita, se non in microscopiche realtà locali che avevano caratteristiche anomale. Di sotto qualche disegno di alcuni di questi supporti fisici dell’era antica.

Proprio in What is Money, Innes smonta anche il falso mito secondo cui un tempo si usavano delle merci come il grano per pagare debiti e tasse [2]:

“[…] per quanto riguarda le varie leggi coloniali, mais, tabacco, ecc., ricevibili in pagamento di debiti e tasse, queste merci non erano mai un mezzo di scambio nel senso economico di una merce, in termini di come viene misurato il valore di tutte le altre le cose. Dovevano essere presi al loro prezzo di mercato in denaro. Né vi è per quanto ne so alcuna garanzia per l’assunzione, fatta di solito, che le merci rese così ricevibili fossero un mezzo di scambio generale in qualsiasi senso delle parole. Le leggi hanno semplicemente messo nelle mani dei debitori un metodo per liberarsi in caso di necessità, in assenza di altri mezzi più usuali. Ma non è da supporre che tale necessità fosse frequente, tranne che nei distretti di campagna lontani dalla città e senza facili mezzi di comunicazione.

L’equivoco che è sorto su questo argomento è dovuto alla difficoltà di rendersi conto che l’uso del denaro non implica necessariamente la presenza fisica di una valuta metallica, e nemmeno l’esistenza di uno standard di valore metallico.

E come Innes anche altri autori hanno messo in luce questa questione, come ad esempio Michael Hudson o David Graeber. Ma infatti la questione è tutta qua: il riconoscere o meno il fatto che la moneta non ha bisogno di supporto fisico per esistere. Tra l’altro, si pensi ai tempi moderni: si fa spesso riferimento all’eliminazione del contante per la lotta all’evasione. Se si eliminasse il contante, quale sarebbe il supporto fisico? Eppure la moneta continuerebbe ad esistere perché sarebbe sui conti correnti e continuerebbe ad essere quello che è, cioè un’unità di conto astratta.

Le realtà storiche dimostrano che, nonostante nel corso del tempo siano esistite anche monete “private”, in realtà queste non hanno mai avuto la forza delle monete emesse dalle autorità pubbliche perchè gli mancava un ruolo cruciale: la capacità di estinguere i debiti fiscali sotto il pieno controllo dell’emittente della moneta.

Si è quindi compreso che non esiste moneta se non esiste una domanda di moneta generata in modo forzato da parte dell’emittente e, come spiega benissimo Knapp, l’unico a poterlo fare è lo Stato attraverso l’imposizione delle tasse. Siccome il supporto fisico è irrilevante, se da domani il Governo decide che accetterà dei pezzi di carta emessi dal Governo stesso con sopra un valore nominale in pagamento delle tasse, quella moneta diverrà effettivamente una moneta e non sarà più un oggetto comune. Questa proprietà è detta “cartalità della moneta“. E’ questo a spiegare perchè quando i Governi iniziarono ad introdurre le banconote, queste avevano un valore (per esempio di 100$) ma le spese sostenute per emetterla tra materiali e processo non si avvicinavano nemmeno lontanamente a quel valore. Questo sfuggiva ai metallisti, che quindi non essendo più in grado di difendere la loro tesi hanno iniziato ad attaccare il cartalismo come fosse un demone (che è esattamente il meccanismo antiscientifico che viene adottato oggi nei confronti di tutte le opposizioni).

Il fatto che la moneta sia cartale è il motivo per cui la moneta funziona tranquillamente pur essendo in gran parte virtuale (nel senso che è in gran parte sui conti correnti).

Paul Davidson in Money and the Real World, articolo pubblicato sul The Economic Journal nel 1972, scrisse proprio che mentre la necessità di estinzione di debiti associata ad un metodo per quantificarli ed estinguerli è sempre esistita nella storia, l’idea del commercio di tipo “merce in cambio di merce” è più una fantasia degli economisti classici che una realtà provata dalla storia [9].

In effetti tutta l’antropologia sembra confermare che non sia mai esistita l’era del baratto. A tal proposito vale la pena leggere ciò che scrivono David Graeber [16] e Caroline Humphrey [17] in merito alla smentita storica e antropologica dell’esistenza di una presunta era di baratto.

4. L’accettabilità su larga scala.

Il cartalismo sostiene, a differenza del metallismo, anche una tesi consistente sulla questione dell’accettabilità su larga scala. Mentre infatti il metallismo sostiene che la moneta-merce diviene progressivamente la merce intermedia di scambio perché “più conveniente delle altre”, il cartalismo spiega che la tesi metallista non può essere sostenuta perché la condizione che descrive non è in grado di creare una domanda ampiamente diffusa e costante di moneta. Secondo i cartalisti quindi è lo Stato che emettendo la moneta e dichiarando di accettarla in pagamento delle tasse genera quella domanda. Infatti così facendo i cittadini sono disposti a lavorare per ottenere quella moneta, in quanto essendo obbligati a dover rimettere i propri debiti fiscali nei confronti dello Stato sono costretti a procacciarsi quella moneta e l’unico modo in cui possono farlo è offrire il proprio lavoro (anche allo Stato). In questo modo lo Stato ha qualcosa da offrire in cambio delle prestazioni lavorative necessarie per il funzionamento della nazione.

Cominciano ad emergere i primi punti chiave della natura Tax Driven della moneta. Infatti è chiaro a questo punto che la moneta senza una domanda non viene accettata. Sostenere infatti che la moneta sia accettata perché “è conveniente per tutti accettarla” o perché “so che me la accetteranno” (come sostengono alcuni complottisti) significa assumere l’accettabilità a priori: infatti il fatto che qualcosa sia comodo e/o conveniente non implica necessariamente l’accettabilità, e di esempi se ne potrebbero fare a valanghe. Il “comune utilizzo” non giustifica l’accettabilità perchè non è affatto garanzia. 

Discorso diverso è invece per l’imposizione fiscale da parte dello Stato. Infatti lo Stato emette moneta (per primo) e poi esige il pagamento delle tasse facendosi garante del fatto che accetterà quella moneta per il pagamento delle stesse. Questo in automatico risolve sia il problema dell’accettabilità che della garanzia. Infatti l’accettabilità diventa forzosa perchè in quella condizione improvvisamente i cittadini sono obbligati a lavorare per procurarsi la moneta necessaria per pagare le tasse, ma allo stesso tempo lo Stato poichè deve necessariamente tenere in piedi la moneta per ricevere in cambio lavoro non ha assolutamente convenienza nel non accettare quella moneta che egli stesso ha creato. Di conseguenza la garanzia che quella moneta venga accettata è automatica. Anche Abba Lerner, grandissimo economista del secolo scorso, in Money as a Creature of the State del 1947 scriveva che il trucchetto dell’accettazione risiede unicamente nell’obbligo della tassazione [6].

Per quanto semplice questo è un concetto che cambia drasticamente il punto di vista.

In definitiva la teoria metallista si pianta in vicoli ciechi indistricabili [1, 5], come ad esempio il fatto che “la moneta viene accettata su larga scala perché conviene usarla e conviene usarla perché accettata su larga scala”: chiaramente impossibile districare questo loop senza assumere l’accettabilità a priori.

Questa inconsistenza veniva percepita anche dagli stessi sostenitori dello standard del valore. Infatti gli economisti della scuola classica in alcuni casi si sono ritrovati, in modo inconsapevole forse, ad ammettere una qualche sorta di caratteristica cartale della moneta (come fecero Smith e Stuart Mill [7, 8]).

Ricapitolando, abbiamo visto che:

La moneta nasce nel settore pubblico con lo scopo di misurare le relazioni di credito/debito tra soggetti. Questo smentisce la balla che la moneta nasce nel settore privato andando anche a porre la questione della finalità commerciale della moneta (che come accennato prima è solo contingente alla sua reale funzione).

Il supporto fisico della moneta è irrilevante in quanto alla base dello scambio vi è un concetto di debito che prescinde da essa (e non a caso oggi la moneta potrebbe tranquillamente essere tutta virtuale).

La moneta è uno strumento Tax Driven: lo Stato che la emette è anche colui che la accetta in pagamento delle tasse e questo genera una domanda di moneta autonoma che ne garantisce l’accettabilità su larga scala. Questo dimostra che gli scopi commerciali della moneta sono soltanto un collaterale perché le persone cercano di procurarsela nel commercio per garantirsi di poter pagare le tasse e allo stesso tempo di dotarsi di uno strumento di credito che sanno essere accettato da tutti perché tutti sono nella stessa condizione.

Il baratto per come lo intendiamo noi non è mai esistito, se non in qualche realtà estremamente particolare, confinata nello spazio e nel tempo ed estremamente piccola. Solo in quei casi può esistere e può essere esistito, e in ogni caso può aver rappresentato solo un piccolissimo complemento al vero commercio, che era fatto comunque di moneta di conto, di tavolette di shubati, tally stick e altri strumenti di credito.

Mancano ancora due aspetti: il primo è dimostrare che la moneta funziona come una cambiale, mentre il secondo è dimostrare che l’inflazione non dipende strettamente dalla quantità di moneta in circolo.

5.   Il corso legale, la gerarchia piramidale della moneta e il concetto di IOU.

Ma se la moneta viene accettata per i motivi elencati di sopra, per quale motivo esistono le leggi a corso legale? Ancora una volta ci vengono incontro economisti di livello. Il professor Randall Wray nel paper Money del 2010 [10], sostiene che non bisogna farsi ingannare dalle leggi a corso legale perché al giorno d’oggi esistono valute che circolano senza leggi legali e valute che vengono utilizzate nonostante siano combattute dalle autorità locali.

L’idea quindi che le leggi per il corso legale di una valuta (legal tender laws in inglese) siano necessarie per imporre la moneta è priva di fondamento. Basta che lo Stato esiga il pagamento di tasse in una valuta da lui designata. Ma allora che senso ha l’esistenza delle legal tender laws?

Paul Davidson in Financial Markets, Money, and the Real World [11] sostiene che le leggi sul corso legale servono a stabilire cosa debba accettare la parte lesa in tribunale come estinzione del debito da parte dell’imputato colpevole. Le leggi sul corso legale servono quindi ad assicurare solo che nelle controversie regolate in tribunale relativamente ad una moneta, il debito venga quantificato in quella moneta di conto ed estinto con un pagamento in quella valuta. Infatti anche Innes spiega che in Francia c’è stato un periodo durante il medioevo durato più di tre secoli in cui non esistevano leggi sul corso legale eppure non c’è stata nessuna confusione monetaria [2]. E non c’è stata alcuna confusione in merito nonostante l’era Carolingia e le ere successive fino alla Rivoluzione Francese abbiano visto più valute circolare contemporaneamente.

Il concetto chiave che bisogna capire per andare avanti è il concetto di emissione della moneta. Tutti possono emettere moneta perchè tutti possono instaurare una relazione di credito/debito con un altro soggetto. Emettere moneta significa emettere debito: la moneta è una passività per chi la emette e un asset per chi la possiede e questo lo spiegava spesso anche il professor Hyman Minsky.

Emettere moneta però non garantisce l’accettabilità perché diverse monete emesse da diversi soggetti hanno diversi gradi di accettabilità. Le relazioni sociali di debito sono infatti organizzate secondo una struttura piramidale in cui le forme di moneta meno accettate sono alla base mentre in cima c’è la più accettata.

Quindi l’accettabilità non viene imposta con una legge, ma viene creata automaticamente attraverso una gerarchia piramidale di accettazione della stessa. 

In generale quindi bisogna comprendere il concetto che tutta la moneta esistente è una promessa di pagamento di un debito da parte di chi l’ha emessa. E’ una cambiale. Di fatto la moneta è un IOU (dall’inglese I owe you, letteralmente un “io ti devo”, cioè un “pagherò”) da parte dello Stato. C’è un bellissimo paper del professor Randall Wray [12] in cui spiega questo concetto e vi consiglio di leggerlo.

Questo concetto va a definire la piramide delle relazioni di credito/debito: chiunque può creare un debito e questo debito è un obbligo sociale che assume la forma di un IOU (Io Ti Devo). Anche i debiti verso lo stato sono IOU denominati in moneta.

Al vertice della piramide dunque c’è lo Stato con IOU denominati in valuta nazionale.
Lo Stato quando emette moneta crea la valuta che è in cima alla piramide perché potendo imporre le tasse genera automaticamente la sua domanda. Pertanto quando lo Stato crea denaro emette il suo debito nei confronti del settore privato (quello che viene malamente chiamato debito pubblico e che quindi rappresenta il credito del settore privato, cioè dei cittadini). Dunque i contanti che i cittadini si scambiano sono letteralmente il debito che lo Stato ha nei loro confronti. All’interno della giurisdizione statale quindi la valuta che lo Stato emette (contanti e riserve bancarie) è universalmente accettata. Se in Giappone un cittadino detiene degli Euro, delle Corone norvegesi o dei Dollari australiani, quelle monete nelle sue mani hanno comunque valore per il semplice fatto che nei paesi in cui quelle valute vengono utilizzate, esse sono domandate per pagarci le tasse ai rispettivi Governi. Quindi in Giappone quel contante straniero è semplicemente del debito che il settore privato di quel Governo straniero ha emesso nei confronti dei suoi cittadini.

Tutti gli altri, proprio per il fatto che gli IOU di Stato sono i più accettati, rendono le loro passività convertibili in passività dello Stato. Quindi via via discendendo le banche (con la moneta bancaria come spiegato qui), gli istituti non finanziari (ad esempio con i ticket restaurant) e le famiglie emettono passività via via sempre meno accettate. 

In pratica tutto il sistema non è altro che un immenso sistema di flussi di crediti e debiti quantificati da una valuta di conto. Esattamente come funzionava 4.000 anni fa, seppur siano cambiate le forme dei mezzi utilizzati.

6.   La banalizzazione dell’associazione diretta inflazione-moneta.

Manca quindi l’ultimo punto, ovvero il perché si genera inflazione. In passato gli economisti sono stati abbagliati da teorie estremamente faziose e senza basi solide alle spalle su questo tema. Molti credono ancora oggi che “stampare moneta significa creare inflazione“. Dietro questa frase, al di là della mostruosa ignoranza, si celano la mancata comprensione della moneta e la mancata comprensione degli obiettivi dell’economia. Ma andiamo per gradi.

L’inflazione è l’aumento del livello generale dei prezzi, quindi preso un paniere di beni in caso di inflazione si assiste alla crescita generalizzata dei prezzi di quei beni. L’idea secondo cui stampare moneta crea inflazione è di matrice monetarista e si riassume nella famosa equazione di Fisher. Secondo quell’equazione il prodotto della quantità di moneta per la sua frequenza di scambio da un soggetto all’altro è uguale alla quantità di beni prodotti moltiplicato per i loro rispettivi prezzi. Il problema di questa equazione è che è tutta sbagliata perchè parte dall’assunto che la moneta sia coperta. Dire che la moneta sia coperta significa dire che siccome la moneta rappresenta il valore delle cose, esiste tanta moneta quanti beni/servizi vengono prodotti. Questa è una scemenza colossale perchè non tiene in conto, tra le tante cose, del risparmio privato (che è assolutamente fondamentale per il settore privato) e del credito erogato dalle banche commerciali (che è moneta in circolo nell’economia e rappresenta una parte ben più grande della moneta emessa dal Governo).

In realtà la moneta non rappresenta i beni in circolo ma rappresenta il valore del lavoro per produrre beni e servizi. La moneta non è coperta e soprattutto non lo è mai stata, nemmeno nel periodo in cui si adottava, in piena filosofia metallista, uno standard che ne vincolava l’emissione (per esempio il Gold Standard). E qua mi serve un breve excursus storico. 

C’è stato un periodo della storia recente in cui le monete erano qualcosa di “convertibile” e tali sono rimaste fino al 1971.

Una moneta è convertibile quando viene emessa da parte dello Stato nei limiti di possesso di una certo asset. Ad esempio, per un certo periodo storico la moneta ha avuto convertibilità in oro, il che significava che gli Stati potevano emettere nuova moneta solo nei limiti di possesso di oro da parte degli stessi. Questo perché quella moneta doveva avere la possibilità di essere convertita in oro, nel senso che se un cittadino si fosse recato in banca con denaro contante, avrebbe potuto pretendere in cambio una quantità di oro equivalente al contante che aveva portato.

Questo Standard in realtà non veniva mai rispettato alla lettera e questo è risaputo, ne parla anche Randall Wray.

Ancora oggi sento parlare persone che sostengono che la moneta viene emessa nei limiti di possesso di oro. E’ per questo che bisogna studiare.

Ad ogni modo, il sistema cominciò a far vedere i suoi limiti perchè di fatto poneva l’oro in cima alla piramide monetaria, trasformando gli Stati in privati che devono procurarsi l’oro per la loro spesa (a tal proposito si legga come funzionano i bilanci settoriali). Questa caratteristica rappresentava un limite alla spesa degli Stati e questa convertibilità in oro prendeva il nome di Gold Standard.

Avendo sempre bisogno di una contropartita in oro, la storia insegna che quando si verificavano momenti di inflazione le persone si recavano spesso in massa a farsi convertire il denaro in oro per salvare il salvabile (un po’ come fanno certi trader quando hanno un titolo in forte perdita e sanno che continuerà ad andare giù e per non perdere ulteriore denaro chiudono la posizione). Solo che le banche non avevano oro per tutti perchè spesso e volentieri si superava il limite teorico di emissione e si poteva avere il default del sistema bancario, con conseguente default dello Stato.

Lo standard è stato in vigore fino al 1929, quando fu tenuto in sospeso, in attesa di revisione. La prima revisione fu studiata nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods. A Bretton Woods c’era anche John Maynard Keynes. Molte idee furono messe sul tavolo, anche perchè essendo un transitorio tra due epoche era la fase giusta per mettere giù idee diverse da quelle che avevano dominato gli anni passati. Le più innovative dal mio punto di vista arrivarono proprio da Keynes, ma non furono prese quasi per niente in considerazione.

Nelle due settimane di trattative si discusse della necessità di una regolazione dell’economia planetaria, del bancor e della necessità degli Stati di sganciarsi da questo fardello dei cambi fissi.

All’ultimo minuto gli Stati Uniti inserirono una clausola molto vincolante, poco prima della chiusura della conferenza: l’utilizzo del dollaro come moneta internazionale. I contorni precisi della vicenda sono emersi solo di recente, con la pubblicazione integrale degli atti della conferenza [19].

Keynes si vide costretto ad accettare anche qualche compromesso pur di iniziare un percorso di cambiamento che avrebbe alla lunga portato alla destituzione dei dogmi sacrali del pensiero mercantilista. Il risultato ottenuto non lo soddisfò completamente, infatti da un punto di vista monetario gli accordi prevedevano che:

– Tutte le valute fossero convertibili in dollari.
– Fosse istituito un regime di cambi fissi col dollaro.
– Il dollaro fosse convertibile in oro.

Praticamente si passò da un sistema Oro-Standard ad un sistema Dollaro-Standard, che rese gli Stati Uniti il centro economico del mondo.

Bisognò attendere quasi 30 anni per vedere la nascita del sistema monetario moderno. Nel 1971 anche Bretton Woods andò in crisi (i motivi sono principalmente da imputarsi alle difficoltà nel finanziare la Guerra del Vietnam e alla condizione dell’economia americana degli anni ’60) e fu così che con lo Smithsonian Agreement il presidente americano Richard Nixon firmò di fatto la fine del Gold Standard. La Federal Reserve non aveva più l’obbligo di convertire il dollaro in oro: fu la fine, per nostra fortuna, dell’epoca dell’associazione di una contropartita reale alla moneta. Questo fatto per il metallismo fu più di uno scacco matto. Da quel momento, poiché il cittadino non poteva più ricevere beni concreti in cambio delle sue banconote da parte delle banche, la moneta smise di avere un valore reale agli occhi di tutti. 

L’impatto dello Smithsonian Agreement ebbe ripercussioni indirettamente anche sul meccanismo di spesa degli Stati. Infatti con esso viene introdotto il concetto di moneta fiat (fiat currency in inglese) che rappresenta di fatto la moneta moderna e la moneta come è sempre stata in assenza di questi vincoli autoimposti. Questa tipologia di moneta viene propriamente detta anche moneta sovrana. Affinchè una moneta sia sovrana deve possedere tre caratteristiche, attraverso le quali rende uno Stato sovrano della sua moneta:

La moneta fiat è un monopolio di Stato: lo Stato si pone al vertice del sistema bancario e della piramide monetaria.

La moneta fiat non è convertibile: non deve essere emessa nei limiti di possesso di un bene (come avveniva con l’oro nel Gold Standard). Una fiat currency non ha una contropartita reale e per tanto viene letteralmente creata dal nulla.

La moneta fiat è fluttuante, non è soggetta a cambi fissi: non esistono rapporti di cambio fissi con altre monete o con altre cose, è lo Stato che decide il valore della propria moneta in base al periodo storico/economico (per agevolare per esempio le esportazioni).

Ad una valuta basta perdere una di queste tre caratteristiche per smettere di essere sovrana. Nella valuta fiat si identifica pertanto il concetto di sovranità monetaria. Sembra un fatto scontato, ma al giorno d’oggi circa la metà degli Stati di tutto il mondo non è sovrano della sua moneta e questo dipende da vari motivi (adozione di cambi fissi, adozione di valute straniere, convertibilità con asset etc…). 

Alcuni economisti di epoche piuttosto recenti, come Alan Greenspan (ex presidente della Fed), hanno auspicato ad un ritorno al Gold Standard. Greenspan nella fattispecie sosteneva che senza Gold Standard l’inflazione avrebbe eroso i risparmi, così come la spesa in deficit degli Stati e che l’unico modo per tutelarli sarebbe stato proprio l’aggancio all’oro.

Le affermazioni di Greenspan sono preistoriche persino per i liberisti. Infatti in un celebre libro del ’72 dell’economista neoliberista Jacques Rueff questi spiega che in tutti i paesi con una valuta legata al dollaro, la situazione economica si è gradualmente trasformata in una crisi deflazionistica equivalente alla recessione del ’29. Infatti basta un disturbo nel sistema per causare danni seri come crisi inflattive, fughe di capitali, speculazioni finanziarie e infine default [20]. Un problema comune a tutti i paesi che si rinchiudono in regimi di cambi fissi (come l’Eurozona ad esempio).

D’altronde un regime di cambi fissi non permette l’elasticità necessaria ad un paese per stabilizzare la sua economia. La valuta fiat, sebbene non sia l’unico fattore necessario per il benessere, contribuisce a disintegrare questo limite e permettere allo Stato di operare in piena autonomia per la realizzazione della piena occupazione e del miglioramento della vita dei suoi cittadini.

Finito questo breve excursus, torniamo all’inflazione.

Ma allora da cosa dipende l’inflazione se non dalla stampa di moneta? in fin dei conti il valore della moneta dipende dal rapporto tra domanda e offerta no? Quindi se aumento l’offerta dovrebbe diminuire il suo valore e quindi i prezzi dovrebbero aumentare, giusto? 

Ebbene il discorso sarebbe corretto se non fosse per il fatto che gli manca un aspetto chiave che lo ribalta letteralmente dall’altra parte: Per quale motivo bisognerebbe iniettare liquidità in un sistema a casaccio?

Questa idea di iniettare la moneta nel circuito senza nessun motivo apparente è qualcosa che si avvicina al cosiddetta Helicopter Money, ed è effettivamente qualcosa che non si realizza.

Quando gli Stati fanno spesa pubblica non stampano contanti e li sparano dall’elicottero sulle piazze… quella non è la soluzione per nessuna crisi. Ma quando lo Stato fa spesa pubblica non fa questo, bensì compra beni e servizi da soggetti del settore privato e lo fa pagandoli in una valuta che emette lo Stato stesso. Attraverso un meccanismo di spesa più o meno complesso a seconda degli Stati in questione e che tipicamente coinvolge il sistema bancario, lo Stato compra un servizio e immette liquidità pagando il soggetto a cui ha commissionato il bene/servizio. Quindi è vero che aumenta l’offerta di moneta, ma aumenta anche la domanda di pari passo perché quella moneta era necessaria per fare quel lavoro.  In realtà però le cose non sono esattamente così semplici perché l’aumento del livello generale dei prezzi dipende da tanti fattori (cambiamento nei prezzi delle materie prime, mark-up dei produttori, instabilità politiche tra partner commerciali, catastrofi naturali etc…). Per esempio in condizioni di benessere con l’economia a pieno regime, aumenta la domanda di beni e servizi e quindi aumenta anche la domanda dei beni/servizi base, necessari a produrre quelli finali. Se l’offerta di quelli di base non riesce ad adeguarsi alla domanda, il prezzo sale e di conseguenza cresce anche il prezzo dei beni derivati da essi. A questo bisogna aggiungere la perversa e malsana attitudine del settore privato alla competizione sfrenata, che porta i suoi soggetti ad essere dei generatori di profitto e non dei generatori di progresso. Inoltre ci sono altri concetti che rendono molto più complesso il tema dell’inflazione rispetto al banale “stampare denaro = inflazione”. Per esempio ci sono i comportamenti dinamici dei prezzi chiamati sticky prices (un ingegnere direbbe che sono “l’inerzia dei prezzi”) e ci sono le speculazioni finanziarie su beni chiave dei panieri utilizzati per calcolare l’inflazione. Ci sono le variazioni sui tassi di interesse.

In generale ciò che può intaccare il consumo e le abitudini di consumo delle persone finisce per impattare l’inflazione e di certo dire che “stampare moneta causa necessariamente inflazione” è infantile e propagandistico di filosofie economiche fallaci.

Tra l’altro su questo blog potete trovare un articolo dove smonto con i dati questa presa di posizione.

Ad ogni modo in caso di eccessiva inflazione lo Stato può intervenire in un solo modo: frenando l’economia. Ovviamente non deve farlo massacrando il settore privato come nel caso del Volcker shock. D’altronde fu lo stesso Keynes a sostenere che l’austerità al Tesoro è qualcosa che si addice a periodi in cui l’economia tira piuttosto che a periodi di recessione.

Molti poi associano l’inflazione all’iperinflazione, ma anche questa è una baggianata perché i due fenomeni hanno cause diverse. Nella fattispecie l’iperinflazione (i tedeschi di Weimar con le carriole di marchi per intenderci) si verifica sempre quando lo Stato perde la capacità di esigere i debiti fiscali. Quando lo Stato perde la capacità di riscuotere le tasse allora si va verso l’iperinflazione perchè mentre la domanda di moneta rimane uguale, la quantità di moneta circolante aumenta a dismisura a causa della manca distruzione degli IOU di Stato attraverso le tasse.

L’iperinflazione non si verifica mai in assenza di guerre civili (e questo lo spiega pure Innes), regimi di cambi fissi, debiti denominati in una valuta che lo Stato non può emettere etc… tutte circostanze che portano al disastro fiscale.

Inoltre, come la storia insegna (e come Keynes ha ribadito più e più volte) è meglio dover affrontare una situazione inflattiva (ovviamente non sto parlando di iperinflazione) piuttosto che deflattiva perché con l’inflazione il denaro perde valore, quindi è più facile contrarre debiti come mutui e finanziamenti e l’economia gira più velocemente, togliendo potere a chi ha accumulato denaro invece di spenderlo; la deflazione invece dà potere proprio ai rentiers e a chi detiene ricchezza piuttosto che alle persone che necessitano di prestiti e questo rende il denaro estremamente più di valore rispetto all’oggetto degli investimenti. La deflazione in poche parole va a paralizzare l’economia come farebbe l’ipotermia mentre l’inflazione va ad alzare la temperatura di un’economia in movimento esattamente come la temperatura di una persona che sta facendo attività fisica si alza. E questo non deve spaventare, perchè se avete capito la natura della moneta avrete capito che non è un oggetto da possedere in maniera compulsiva ma uno strumento da spendere per generare ricchezza.

 

7. Il legame tra la moneta, la religione e il potere.

Per concludere questo breve ma doveroso cappello introduttivo sulla moneta, bisogna contestualizzare le conseguenze dell’adozione dello strumento moneta. 

E’ documentato nella storia (e in questo è letteralmente illuminante il lavoro fatto da John Henry sull’Antico Egitto) che la moneta, la religione, il controllo delle masse e il potere sono quattro temi profondamente interconnessi.

Già Innes spiegava che nel passato i luoghi di culto e i templi fungevano soprattutto da stanze di compensazione e da sedi amministrative della contabilità pubblica, ma Henry spiega addirittura che nell’Antico Egitto la moneta è stata la responsabile della stratificazione delle classi sociali [21]. Ovviamente questo non prova minimamente il fatto che la moneta sia stata pensata per stratificare la società, ma di certo spiega che la stratificazione della società in caste gerarchicamente disposte è una conseguenza della sua adozione nel medio-lungo periodo. Pare in effetti che in quelle terre la società si sia trasformata da comunità simil-tribali gerarchicamente piatte ad una struttura piramidale in cui in cima si ponevano delle elitè che nel corso del tempo hanno finito per assumere delle connotazioni quasi divine.

Lì la moneta nacque, secondo Henry, per esigenze di gestione su larga scala dei raccolti e quelli che oggi considereremmo la classe degli ingegneri finì per porsi in cima a questa piramide sociale, occupando pian piano anche gli aspetti di culto della popolazione. I sacerdoti non erano altro che intermediari tra la classe dominante e il resto della popolazione. La religione stessa era in realtà molto più “pratica” di quella a cui siamo abituati noi a pensare, tenendo presente che in tutta probabilità quelli che noi oggi chiamiamo “dei” erano probabilmente qualcosa di non spirituale e che è stata “idealizzata a soggetto ultraterreno” in seguito. La stratificazione ha permesso alle caste al di sopra di tenere sotto controllo il comportamento di massima della popolazione, sfociando purtroppo a volte nel prosciugamento delle risorse da parte proprio delle elitè. Siccome la moneta ha questa interconnessione profonda con la religione e con il potere delle classi dominanti, vale secondo me la pena analizzare i testi antichi a tal proposito e mi ripropongo di farlo in una sezione dedicata di questo blog. 

Questo argomento affascinante quindi sarà oggetto di trattazioni approfondite successive.

Ritengo che questa breve parentesi sulla moneta sia una prima infarinatura di base per approcciare l’argomento. Ovviamente che non si commetta l’errore di dedicarsi all’economia moderna senza aver ben chiari questi concetti altrimenti ci si trova davanti alle difficoltà e alle contraddizioni che le trattazioni mainstream non sono in grado di risolvere.

Spero di pubblicare a breve un libro in cui approfondire questi concetti.

BIBLIOGRAFIA E FONTI

[1]   Pavlina Tcherneva (2006), Chartalism and the Tax-Driven approach to Money

[2]   Alfred Mitchell-Innes (1913), What is Money

[3]   Alfred Mitchell-Innes (1914), The Credit Theory of Money

[4]   Georg Friedrich Knapp (1923), State Theory of Money

[5]   Geoffrey Ingham (2004), The Nature of Money

[6]   Abba Lerner (1947), Money as a Creature of the State

[7]   Adam Smith (1776), The Wealth of Nations

[8]   John Stuart Mill (1848), Principles of Political Economy

[9]   Paul Davidson (1972), Money and the Real World

[10]   Randall Wray (2010), Money

[11]   Paul Davidson (2002), Financial Markets, Money, and the Real World

[12]   Randall Wray (1998), Understanding modern money: how a sovereign currency works

[13]   William F. Mitchell (2009), Money multiplier and other myths

[14]   Fonte: Codice civile, articolo 1834

[15]   Fonte: Banca d’Italia

[16] David Graeber (2011), On the Invention of Money – Notes on Sex, Adventure, Monomaniacal Sociopathy and the True Function of Economics

[17]   Caroline Humphrey (1985), Barter and Economic Disintegration

[18]   Carl Menger (1892), On the origins of money

[19]   Documentazione ufficiale degli accordi di Bretton Woods

[20]   Jacques Rueff, (1972) The monetary sin of the West

[21]   John F. Henry (2004), The social origins of Money: the case of Egypt 

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