Economia e Società

I bilanci settoriali

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Per capire la macroeconomia bisogna comprendere profondamente due concetti essenziali:

– Come è costituito un sistema economico
– Che cos’è e come funziona la moneta

Una volta compresi questi due punti, tutto il resto non è altro che una conseguenza naturale. In questo primo articolo voglio mostrare il primo punto attraverso la descrizione dei bilanci settoriali.

1.   La divisione in settori e i bilanci settoriali [1].

Per ogni singola nazione si può delineare un perimetro virtuale. Tutto quello che rimane all’esterno rappresenta il resto del mondo, mentre all’interno del perimetro ci sono tutti i soggetti economici che costituiscono quella nazione: i cittadini, le aziende, le banche, il Governo e la Banca Centrale.
Questi soggetti vanno a costituire due settori distinti:

– il settore governativo (o pubblico), composto dal Governo e dalla Banca Centrale

– il settore privato: composto da famiglie (cittadini), imprese e banche

L’interfaccia con le altre nazioni invece va a costituire il settore estero.

Figura 1: Il sistema economico di una nazione diviso in settori.

I tre sottosistemi (pubblico, privato e estero) interagiscono tra loro attraverso flussi di ricchezza. Ogni settore ha pertanto entrate e uscite che possono essere schematizzate come in Figura 2:

Figura 2: Flussi di ricchezza tra i settori pubblico, privato ed estero.

Un punto cruciale da capire è che i cittadini, anche intesi come collettività, non fanno parte del settore pubblico: sono soggetti appartenenti del settore privato. L’obiettivo di tutti i soggetti privati è quello di massimizzare il proprio profitto, ovvero massimizzare i guadagni e minimizzare le perdite. Questo avviene attraverso delle transazioni finanziarie che sommate tutte insieme finiscono per costituire il profitto del generico soggetto all’interno del settore privato.

Si può notare subito che il settore privato non può creare ricchezza al netto. Infatti esso è composto da n soggetti che compiono tra loro delle transazioni orizzontali (più avanti approfondiremo il concetto). Due esempi possono spiegare bene questa cosa.

Esempio.
Si immagini che il settore privato sia costituito da due sole persone che per semplicità si indicano con A e B. Si ipotizzi che A venda una mela a B al prezzo di 1€. A transazione ultimata nessuno dei due ha prodotto ricchezza al netto, infatti mentre A si è arricchito di 1€, B si è impoverito esattamente della stessa quantità. Ne segue che la somma della ricchezza di A e della ricchezza di B rimane invariata.

La somma della ricchezza dei tre settori deve essere costante. Indicando con la lettera B il bilancio complessivo dei tre settori si può scrivere una prima versione dell’equazione dei bilanci settoriali:

2.   Il settore estero: il saldo delle partite correnti.

Andiamo adesso ad esaminare ogni singolo settore per capire come si concatenano i flussi di ricchezza e chi è che va a generare la ricchezza iniziale.

Partendo dal settore estero, esso può immettere ricchezza nel settore privato attraverso le esportazioni. Infatti riprendendo l’esempio 1, se il soggetto B non fosse un cittadino del settore privato ma bensì un cittadino esterno al nostro sistema economico (e quindi facente parte del settore estero), quell’esportazione produce un aumento di ricchezza all’interno del settore privato del nostro paese, mentre dall’altro lato da un punto di vista contabile il settore privato del paese estero (da cui proviene il cittadino B) si impoverisce di quella stessa quantità: per loro si tratta di un’importazione, quindi di una passività contabile. Da un punto di vista formale il bilancio fa sempre zero ma da un punto di vista del singolo Stato, colui che ha esportato ha immesso più ricchezza nel settore privato. Si può dimostrare che in realtà a livello globale questo non costituisce un aumento di ricchezza, ma ne parleremo in un altro articolo. Per ora limitiamoci a dire che con le esportazioni si può immettere ricchezza nel settore privato di una nazione. Dal punto di vista del settore estero di quella nazione quindi, le importazioni del nostro Stato (𝑁) sono un attivo mentre le esportazioni dello Stato (𝑋) sono dei passivi.

A queste due variabili bisogna aggiungere i cosiddetti redditi netti all’estero. Questi rappresentano la differenza tra i redditi guadagnati all’estero dai fattori residenti (capitale e lavoratori) e i redditi pagati ai fattori non residenti. 
A questo punto si può fare un’approssimazione tutto sommato plausibile.
I fattori economici sono dati dalla somma del lavoro (cioè i lavoratori) e del capitale. Il primo tipicamente si muove molto poco rispetto al secondo. Perciò ha senso dire che i redditi netti all’estero sono tipicamente redditi da capitale.
Per esempio contrarre un debito estero implica il pagamento di interessi all’estero, quindi un contributo negativo ai redditi netti all’estero. In quest’ottica un paese può anche avere una bilancia commerciale in positivo (cioè la differenza tra esportazioni e importazioni), ma se la somma della bilancia commerciale e dei redditi netti all’estero è negativa, significa che il settore estero è in deficit. Più avanti vediamo cosa questo implica.
Il bilancio definitivo del settore estero prende il nome di saldo delle partite correnti (current account balance) e si scrive così:

3.   Il settore governativo: il fabbisogno.

Nonostante il settore estero contribuisca ad immettere moneta all’interno del settore privato, se si considera come perimetro la somma dei settori privati e dei due settori esteri delle due nazioni si nota che in realtà lo scambio commerciale tra i due paesi non è altro che un trasferimento di ricchezza, non una creazione al netto.
Il settore che invece immette direttamente nel settore privato ricchezza al netto è il settore governativo. Infatti il governo può creare denaro da immettere nel settore privato per aumentare la ricchezza dello stesso, come mostrato più avanti, attraverso una transazione verticale. Analogamente il settore pubblico esige delle tasse che il settore privato deve pagare (per motivi che verranno chiariti nell’articolo sulla moneta) e che quindi rappresentano un flusso inverso. In altre parole, in analogia a quanto accade per il settore estero (in cui esiste l’import e l’export), nel settore pubblico un’immissione di denaro (spesa pubblica, indicata con 𝐺) incrementa la ricchezza del settore privato mentre una rimozione di denaro da esso (il gettito fiscale, indicato con 𝑇) determina una diminuzione di ricchezza. Dal punto di vista del settore pubblico, la spesa pubblica è un’uscita, mentre le tasse sono un’entrata.
La spesa pubblica a sua volta si divide in spesa pubblica pura (indicata con 𝐺*) e servizio del debito. La spesa pubblica pura è la spesa con cui il governo effettivamente compra beni e servizi; il servizio del debito invece è la quota parte di interessi sul debito governativo accumulato nel periodo precedente. Per debito governativo si intende la differenza tra spesa pubblica e gettito fiscale contratto nel periodo precedente. Il tasso di interesse i viene deciso dalla Banca Centrale, anch’essa facente parte del settore governativo.

Il bilancio del settore pubblico prende il nome di fabbisogno e la sua equazione è:

4.   Il settore privato.

A questo punto si possono valutare le entrate e le uscite del settore privato. Gli attivi del settore privato sono i redditi (che a livello complessivo, o aggregato, sono indicati con Y). I redditi a loro volta sono sia quelli derivanti (per esempio) dallo stipedio, sia dagli interessi sui depositi (cioè sui risparmi del periodo precedente). 

Tutte le spese di cittadini, aziende e banche, rappresentano invece le passività. Le spese che questi sostengono sono i consumi interni (C), gli investimenti privati (I) e le tasse (T).

Indicando con S il risparmio privato e con il reddito disponibile le quantità:

In definitiva, a partire dalle equazioni e dalle considerazione appena fatte, il bilancio del settore privato è:


5.   L’equazione dei saldi settoriali.

Mettendo assieme le tre equazioni si ottiene la versione più dettagliata dei bilanci settoriali:

ovvero:

6.   Pareggio di bilancio, deficit di bilancio, surplus di bilancio.

A questo punto si può iniziare ad introdurre qualche concetto chiave: Quando si parla di surplus di bilancio, di pareggio di bilancio o di deficit di bilancio si sta parlando del bilancio del settore governativo. Quindi parlare di deficit di bilancio significa dire che le passività del settore governativo (cioè la spesa pubblica) sono maggiori delle entrate (cioè le tasse). In matematica questo significa dire che 𝐺>𝑇. e cioè che 𝐺−𝑇>0.La quantità 𝑆−𝐼 è cioè quello che rimane in tasca al settore privato (cioè cittadini, aziende e banche). Questo perché se i guadagni dei cittadini al netto delle tasse, dei consumi e delle spese per investimenti rappresentano i risparmi netti.
Quindi questa equazione mostra che ciò che rimane come ricchezza netta all’interno del settore privato è dato dalla somma del deficit del governo e del saldo delle partite correnti. Per semplicità, si faccia finta che il settore estero non esista, cioè che non vi siano relazioni commerciali con gli Stati esteri. L’equazione dei bilanci diventa:

Leggendo l’equazione adesso dovrebbe essere evidente che in queste condizioni la ricchezza del settore privato è pari al centesimo al deficit del settore pubblico. Se nel generico periodo t il governo decide di aumentare la spesa pubblica lasciando invariate le tasse, il termine a secondo membro aumenta, quindi deve aumentare anche il termine a primo membro. Quindi se durante l’anno il governo decide di spendere a deficit, sta di fatto arricchendo il settore privato, cioè cittadini, banche e aziende.
Se il governo decide di pareggiare la sua spesa pubblica con le tasse (𝐺=𝑇), cioè fare pare pareggio di bilancio, il termine a secondo membro si annulla e quindi deve essere nullo anche il termine a primo membro. Questo significa che nell’arco dell’anno, la ricchezza del settore privato rimane invariata.
Se poi il governo decide di tassare più di quanto spenda, facendo il cosiddetto surplus di bilancio (ovvero 𝐺<𝑇), il termine a destra dell’equazione diventa negativo, quindi i risparmi dei cittadini, delle aziende e delle banche diminuiscono.
Tutto questo è vero al centesimo perché non sono state prese in considerazione le relazioni commerciali con gli altri paesi. Aggiungendo il contributo delle partite correnti nell’equazione, è vero che da un punto di vista teorico un aumento dell’export può compensare gli effetti di una politica economica prossima al pareggio di bilancio o al surplus di bilancio, ma come si può intuire è demenziale. Infatti per compensare con l’import/export un calo della spesa pubblica bisognerebbe esportare in modo mostruoso, forsennato. E i dati lo dimostrano. Inoltre mentre esportando ci si espone alla competizione, puntare ad aumentare la ricchezza di cittadini, aziende e banche attraverso l’uso corretto della spesa pubblica (cioè a deficit) significa non dover competere con nessuno.

E’ infatti importante comprendere che cosa si intende con competizione. ‘Competere’ significa fare in modo che i consumatori comprino le nostre merci. Per farlo bisogna essere convenienti sui prezzi, il che significa che le merci che produciamo devono costare meno rispetto alle stesse merci prodotte da un altro paese. Grazie alla realizzazione pratica di un’idea di globalizzazione dei mercati, oggi si assiste alla contropartita negativa del fenomeno: i paesi emergenti producono a prezzi esageratamente più bassi dei nostri. Quindi per poter vendere all’estero le aziende italiane devono abbassare i costi, ma poiché non possono stampare moneta e produrre a deficit (perchè sono dei privati), hanno bisogno di guadagnare denaro. Quindi nel caso in cui fosse necessario abbassare i prezzi finali dei prodotti, l’unico modo che avrebbero sarebbe tagliare i costi. E tipicamente ciò a cui si è assistito è il taglio degli stipendi (oppure gli stipendi stagnanti per anni). Ecco che puntare sull’export è una possibilità, ma è una misura instabile che nel lungo periodo è destinata a essere fallimentare.

Inoltre quello che bisogna comprendere è che la bilancia commerciale, in proporzione al PIL è sempre molto più piccola del contributo dato dal deficit del settore governativo. Perciò, anche volendo, per sopperire al taglio della spesa pubblica occorrerebbe veramente produrre per esportare tutto il prodotto, lasciando poco spazio alla domanda interna, con il rischio di avere scenari iperinflattivi (si veda il caso della Repubblica di Weimar a tal proposito). A questo discorso vanno aggiunti anche i redditi netti all’estero. Affinchè il saldo del settore estero possa contribuire in maniera positiva al PIL, il paese deve essere sicuramente nella condizione di pagare degli interessi su un debito estero inferiore al saldo netto di import/export. Se infatti così non fosse il paese sarebbe fortemente dipendente dall’estero e questo sarebbe un bel problema, non solo economico. 

Si noti anche che i tre settori non possono essere tutti e tre contemporaneamente in deficit. Poichè il settore governativo è l’unico che contiene variabili indipendenti, se il settore governativo è in deficit e il settore estero è in deficit allora si deve aver immesso denaro nel settore privato, che quindi non può che essere in surplus.

Wynne Godley, grandissimo economista del secolo scorso e padre dell’approccio dei bilanci settoriali, è sempre stato in contrasto con la visione mainstream di un’economia con gli Stati in pareggio di bilancio in cui si cerca di fare PIL attraverso l’import/export. Purtroppo però, per motivi illustrati in capitoli dedicati, gli economisti mainstream sostenitori di quel tipo di politica economica sono stati i maggiori influencer quando fu scritto il trattato di Maastricht.

Lo stesso Godley, nell’articolo Maastricht and all that del 1992, da la sua opinione sul libero mercato e sull’influenza che il neoliberismo ha avuto sul trattato di Maastricht che ha blindato le sovranità nazionali europee. Godley sosteneva che la stesura del trattato di Maastricht fosse stata prevalentemente influenzata dall’idea liberista del mercato che è in grado di regolarsi da solo e dall’idea (sempre liberista) che lo Stato dovrebbe farsi da parte perché non in grado di gestire le problematiche relative alla disoccupazione e alla crescita [2].

Wynne Godley, sempre nel ’92 aveva già predetto quella che sarebbe stata la crisi deflazionistica europea, sostenendo che di fatto il meccanismo dell’Euro sarebbe costato caro agli Stati, i quali si sarebbero visti depredati del possesso di una propria sovranità di spesa e avrebbero dovuto far ricorso a prestiti veri di denaro sui mercati di capitali, trasformando il loro operato di bilancio da quello di uno Stato sovrano a quello di un’azienda, cercando di perseguire restrizioni di bilancio dannose per i cittadini. E tutto questo ai post-keynesiani era chiaro ben 10 anni prima di entrare nell’Euro.

E’ bene imparare il funzionamento dei saldi settoriali perchè praticamente tutta la macroeconomia si fonda su questa equazione cardine. Nel prossimo articolo iniziamo a rispondere all’altra domanda: “come funziona la moneta?“.

BIBLIOGRAFIA E FONTI

[1]   Scott Fullwiler (2009), The Sector Financial Balances Model of Aggregate Demand

[2]   Wynne Godley (1992), Maastricht and all that

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